Il 28 giugno 1914, con due colpi di pistola sparati nel centro di Sarajevo, un giovane di soli 19 anni cambiò per sempre il corso della storia mondiale. Gavrilo Princip, nato il 25 luglio 1894 nel piccolo villaggio di Obljaj in Bosnia ed Erzegovina, divenne involontariamente l’artefice dell’evento che avrebbe scatenato la Prima Guerra Mondiale. Gavrilo Princip nacque in una famiglia contadina di etnia serba in territorio amministrato dall’Austria-Ungheria ma formalmente sotto la sovranità ottomana. Era il sesto di nove fratelli, ma solo tre sopravvissero all’infanzia in condizioni di estrema povertà. Figlio di un postino, la sua gioventù fu caratterizzata da precarie condizioni di salute: contrasse la tubercolosi già da bambino, malattia che lo accompagnerà per tutta la breve esistenza.
Nonostante le difficoltà economiche familiari, Princip riuscì a studiare presso la Scuola Commerciale di Sarajevo e successivamente si iscrisse alla Scuola superiore. Durante questi anni formativi, inizialmente si mantenne distante dai movimenti radicali serbi, probabilmente influenzato anche dall’amicizia con il croato Ivo Kranjčević, con il quale condivideva ideali al di là delle differenze nazionali.
Nel 1912, all’età di 18 anni, Princip fu mandato a Belgrado per proseguire gli studi. Fu proprio nella capitale serba che avvenne la sua trasformazione ideologica. Abbandonò gli studi per unirsi al movimento ultra-nazionalistico serbo, entrando a far parte della “Giovane Bosnia” (Mlada Bosna), un’organizzazione politico-rivoluzionaria che combinava idee anarco-socialiste con l’irredentismo nazionale.

L’obiettivo della Giovane Bosnia era liberare la Bosnia ed Erzegovina dal dominio austro-ungarico per annetterla al Regno di Serbia. Il movimento aveva collegamenti con la “Mano Nera” (Crna Ruka), una società segreta terroristica con base a Belgrado che contava molti sostenitori tra ufficiali serbi e funzionari governativi.
Il 28 giugno 1914, data simbolica che coincideva con la festa nazionale serba di San Vito, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, e sua moglie Sofia visitavano Sarajevo. La Mano Nera aveva fornito armi al gruppo di sei attentatori della Giovane Bosnia: pistole e bombe a mano per portare a termine la missione.
Inizialmente l’attentato sembrava destinato al fallimento. Il primo attentatore sbagliò il lancio della bomba, riuscendo solo a ferire leggermente l’aiutante di campo dell’arciduca. L’automobile reale proseguì a velocità sostenuta verso il municipio, vanificando i piani degli altri cospiratori.
La storia prese una piega inaspettata quando, dopo la cerimonia al municipio, l’autista dell’arciduca sbagliò strada nel tentativo di raggiungere l’ospedale per visitare l’aiutante ferito. L’automobile si fermò proprio davanti al caffè dove Princip, deluso per il fallimento del piano, stava rientrando.
Il giovane non perse l’occasione inaspettata. Estrasse la pistola Browning M 1910 calibro 7,65mm e sparò due colpi fatali. Il primo proiettile colpì Francesco Ferdinando al collo, il secondo ferì mortalmente la duchessa Sofia allo stomaco. Entrambi morirono in pochi minuti.
Immediatamente arrestato, Princip tentò il suicidio prima ingerendo cianuro (che vomitò immediatamente) e poi provando a spararsi con la propria pistola, ma fu fermato. Avendo solo 19 anni, era troppo giovane per la pena di morte secondo la legge austro-ungarica e fu condannato a vent’anni di prigione.
Princip trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita nella prigione di Terezín, in condizioni disumane che aggravarono la sua tubercolosi. Morì il 28 aprile 1918, all’età di soli 23 anni, pochi mesi prima della fine della guerra che i suoi colpi di pistola avevano contribuito a scatenare.