Figlio del nobile Celtillo, Vercingetorige era un principe arverno, una delle tribù galliche più potenti dell’epoca. Nato intorno all’82 a.C., visse in un periodo di crescente espansionismo romano in Gallia. E fu proprio questo a spingerlo verso una missione ambiziosa: unire le disparate tribù galliche sotto un’unica bandiera per fronteggiare l’invasore. Nonostante le rivalità interne, riuscì in questa impresa, dimostrando un carisma e una capacità strategica fuori dal comune.
Nel 52 a.C., dunque, Vercingetorige guida una rivolta su vasta scala contro le legioni romane di Giulio Cesare. Le sue tattiche, basate sulla mobilità e sulla guerriglia, infliggono pesanti perdite ai romani, costringendo Cesare a una guerra prolungata e difficile. Alla fine, però, la fortuna decide di volgere le spalle al giovane condottiero. Assediato ad Alesia, infatti, è costretto a una difesa disperata che portò ad una disfatta finale delle sue forze.
Nonostante la sua sconfitta, però, rifiuta l’idea di cadere prigioniero e, proprio per questo, decide di consegnarsi in modo spontaneo nella mani di Giulio Cesare. Un gesto che lo condanna a sfilare come prigioniero di guerra a Roma, per poi essere condannato a morte il 26 settembre 46 a.C. La sconfitta subita ed il sogno infranto di una prima forma di unità nazionale, però, nel corso del tempo gli hanno regalato una riconoscibilità diversa dalla Storia. Per molti, infatti, Vercingetorige rappresenta un’icona della resistenza ed, in particolare, un vero e proprio visionario che riuscì a sognare un’Europa unita molto prima che ciò fosse effettivamente possibile.