La “Notte dei lunghi coltelli”, nota in Germania come Röhm-Putsch o “operazione colibrì”, fu un’epurazione cruenta ordinata da Adolf Hitler tra il 30 giugno e l’1 luglio 1934 con l’obiettivo di consolidare il suo potere all’interno del regime nazista. In quell’arco di tempo, le SS, con la Gestapo e la complicità della Reichswehr, eliminarono militarmente e politicamente decine di oppositori, tra cui spiccava Ernst Röhm, capo delle SA. L’evento segnò una svolta decisiva: Hitler dimostrò che nessuna sfida interna sarebbe stata tollerata, passando da cancelliere ad unico arbitro assoluto del Terzo Reich.
Tra la fine di giugno e l’estate del 1934 le violenze furono sistematiche: le SS penetrarono nei quartieri delle SA in Baviera (in particolare a Bad Wiessee) e a Berlino, arrestando e sopprimendo i vertici e molti seguaci. Le cifre ufficiali conteggiano 71 vittime, ma stime più attendibili collocano il bilancio tra 150 e 200 morti, con alcune valutazioni che arrivano fino a 400. Oltre alle SA, furono eliminati anche militari come il generale Kurt von Schleicher, esponenti del partito oppositore (quali Gregor Strasser) e figure legate al governo conservatore, inclusi collaboratori di Franz von Papen e membri estranei alla politica, come Erich Klausener.

Il colpo fu preparato meticolosamente da Hitler con l’appoggio di Hermann Göring, Heinrich Himmler e Reinhard Heydrich. L’azione fu giustificata come una risposta preventiva al presunto complotto delle SA guidato da Röhm, che aspirava a trasformare il movimento paramilitare in forza rivalizzante rispetto all’esercito tradizionale, la Reichswehr, e che, tra l’altro, sosteneva una “seconda rivoluzione” sociale e anticapitalista.
Il massacro si concluse ufficialmente il 1° luglio, giorno in cui Hitler promosse Viktor Lutze a nuovo capo delle SA e ottenne la piena fedeltà delle forze armate. Nella commemorazione tenuta il 13 luglio al Reichstag, Hitler rivendicò le esecuzioni, presentandole come necessarie per salvaguardare lo Stato e assicurare la stabilità nazionale.
Il terribile evento consolidò il controllo personale di Hitler su esercito e partito, grazie all’azzeramento di possibili rivali. E, soprattutto, stabilì un precedente oscuro: la legittimazione delle esecuzioni extragiudiziali da parte dello Stato. La violenza interna, insomma, divenne strumento politico.