Oggi 30 maggio 2025, ricorre il 594esimo anniversario della morte di Giovanna d’Arco (Jeanne d’Arc in francese) che a soli 19 anni fu arsa viva a Rouen, condannata come eretica. La Pulzella d’Orléans, come veniva chiamata, è una figura di spicco della storia francese: da semplice contadina, guidata da visioni divine fu capace di capovolgere le sorti della Guerra dei Cent’anni e condurre Carlo VII alla consacrazione come re. Ma di cosa fu accusata davvero questa giovane, che sfidò monarchi ed eserciti per poi finire sul rogo?
Nata il 6 gennaio 1412 a Domrémy, in Lorena, da una famiglia di contadini, a 13 anni Giovanna iniziò a udire “voci celestiali” – dell’arcangelo Michele, di santa Caterina e santa Margherita – che la spronavano a salvare la Francia dagli Inglesi e dai loro alleati borgognoni. Nel 1429, a soli 17 anni, convinse il Delfino Carlo a darle un esercito, guidandolo alla vittoria nell’assedio di Orléans e alla consacrazione a Reims. Le sue imprese, guidate da un’ardente convinzione divina, la resero una leggenda ma anche una minaccia per i potenti: catturata nel 1430 a Compiègne dai Borgognoni e venduta agli Inglesi, fu sottoposta a un processo che aveva più a che vedere con una vendetta politica che con la giustizia.
Il processo, iniziato nel gennaio 1431 a Rouen sotto la guida del vescovo Pietro Cauchon, alleato degli Inglesi, la vide accusata principalmente di eresia e stregoneria. Le imputazioni, condensate in 12 articoli, contenevano verità distorte e pure invenzioni: Giovanna fu tacciata di idolatria, di invocare spiriti maligni e di profanare la fede con le sue visioni; le “voci” che la guidavano furono messe in dubbio, considerate demoni piuttosto che santi. Un’accusa assai grave riguardava poi il suo abbigliamento: indossare abiti maschili, per i giudici, violava le norme bibliche e simboleggiava una ribellione contro l’ordine sociale e religioso. Le si rimproverava anche di aver agito senza l’approvazione della Chiesa, come quando guidò l’assalto a Parigi in un giorno festivo, e di aver disobbedito ai genitori partendo per la sua missione.

Eppure Giovanna rispondeva con una lucidità sorprendente: durante gli interrogatori, spesso a porte chiuse nella sua cella, affrontò teologi e inquisitori con risposte che univano fede incrollabile e un pizzico di ironia. Alla domanda se l’arcangelo Michele avesse i capelli, replicò: “Perché avrebbero dovuto tagliarglieli?” e quando le chiesero se fosse in stato di grazia, rispose: “Se non lo sono, che Dio mi ci metta; se lo sono, che Dio mi ci mantenga”. Le sue parole smascheravano di fatto la natura politica del processo, orchestrato per screditare Carlo VII attraverso lei.
Il 24 maggio 1431, sotto la pressione di un’esecuzione imminente, Giovanna firmò un’abiura accettando di non indossare più abiti maschili. Ma pochi giorni dopo, costretta a riprendere quegli abiti per proteggersi dai soprusi dei carcerieri, fu dichiarata relapsa, ovvero ricaduta nell’errore. Questo bastò per condannarla al rogo, eseguito il 30 maggio 1431. La sua agonia tra le fiamme non spense la sua voce: gridò “Gesù!” fino all’ultimo, stringendo una croce improvvisata datale da un soldato inglese impietosito. Nel 1456 un secondo processo voluto da papa Callisto III la riabilitò, dichiarando nullo il primo. Beatificata nel 1909 e canonizzata nel 1920, Giovanna divenne patrona di Francia, simbolo di fede e coraggio.