Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, nella casa Ipat’ev di Ekaterinburg, si consuma uno degli episodi più cruenti e simbolici della storia contemporanea: l’esecuzione dello zar Nicola II di Russia, di sua moglie Alessandra, dei loro cinque figli e di alcuni membri del seguito. A compiere la fucilazione è un gruppo di bolscevichi agli ordini del Consiglio dei Soviet degli Urali. Ma cosa ha portato a quel tragico momento?
Dopo l’abdicazione forzata nel marzo 1917, Nicola II e la sua famiglia sono inizialmente detenuti a Carskoe Selo, poi trasferiti a Tobol’sk in Siberia, e infine condotti a Ekaterinburg, città strategica degli Urali in mano ai bolscevichi. I mesi precedenti l’esecuzione sono segnati da incertezze e negoziati. La rivoluzione d’Ottobre, infatti, ha portato Lenin al potere, ma la guerra civile tra Rossi (zaristi) e Rossi (bolscevichi) continua ad infuriare, e i timori di una liberazione da parte delle truppe bianche crescono.
Ed è in questo clima di tensione e precarietà che viene presa la decisione definitiva. Il 16 luglio 1918, Yakov Jurovskij, comandante della prigione, riceve l’ordine di procedere con l’esecuzione. All’alba del giorno successivo, la famiglia Romanov viene svegliata con il pretesto di un trasferimento urgente e sono condotti nel seminterrato della casa Ipat’ev. Dopo una breve lettura dell’ordine ufficiale, un plotone d’esecuzione apre il fuoco. I corpi, straziati dai proiettili e in parte resi irriconoscibili, sono poi trasportati nella foresta di Koptiaki, dove vengono bruciati e gettati in una miniera abbandonata.

Per anni, la versione ufficiale sovietica rimane vaga. Solo nel 1991, con la caduta dell’URSS, si scoprono i resti di alcuni membri della famiglia imperiale. Nel 2007, poi, il ritrovamento di altre ossa ha permesso, grazie all’analisi del DNA, di confermare l’identità di tutti i componenti del nucleo familiare. Anche della giovane granduchessa Anastasia che, considerata miracolosamente viva per alcuni anni, ha alimentato la leggenda dell’ultima dei Romanov.
Oggi, a Ekaterinburg, nel luogo dell’esecuzione, sorge la Chiesa sul Sangue, eretta in memoria dei Romanov, canonizzati martiri nel 2000 dalla Chieda ortodossa russa. Un luogo di pellegrinaggio, ma anche di riflessione storica su una vicenda che, oltre a segnare la fine di una dinastia, rappresentò l’inizio traumatico del Novecento russo.