A volte basta poco per creare un tormentone. È quello che è successo qualche giorno fa nella puntata finale di Temptation Island, quando, dopo un falò di confronto tra Alessio e Sonia M, chiesto dalla ragazza per capire se ci fosse possibilità di mantenere la relazione, il giovanotto ha chiuso la porta con un dolce: “Vogliati bene”. Come a dire, ognuno per la sua strada ma non dimenticare di amarti. Ed eccoci al punto, l’espressione racchiude la frase “voglio che tu ti voglia bene”. Ma è meglio dire vogliti bene o vogliati bene? Un interrogativo affascinante per chi ama grammatica e storia della lingua.
Per cominciare, è bene chiarire che entrambe le forme costituiscono l’imperativo, nella seconda persona singolare, del verbo volersi bene. Si tratta di un congiuntivo esortativo con pronome enclitico ti. L’imperativo, poi, viene espresso attraverso la forma arcaica del congiuntivo presente, ossia vogli, anziché la moderna voglia.

Secondo Treccani l’imperativo di volere è la forma vogli, esattamente come l’imperativo di sapere è sappi, mentre il congiuntivo assume la forma voglia. Dunque, le forme dell’imperativo del verbo volere sono: (tu) vògli; (lei, lui) vòglia; (noi) vogliamo; (voi) vogliate; (essi) vògliano.
Qual è allora la forma corretta? In sostanza si può esortare qualcuno a volersi bene sia dicendo vogliti bene, con il ti enclitico, che vogliati bene, benché quest’ultima sia meno frequente e suoni più letteraria, antiquata e cacofonica.
Da un punto di vista storico-linguistico, inoltre, vogliti bene è la più attestata nei casi moderni. Vogliati bene, invece, sopravvive più in chiavi ironiche, affettive o letterarie, un’occasione di richiamo a uno stile antico o epistolare.