Gli ingegneri dell’Università del Massachusetts ad Amherst hanno compiuto un passo straordinario verso l‘integrazione tra tecnologia e biologia umana. Per la prima volta nella storia delle neuroscienze computazionali, un neurone artificiale è riuscito a comunicare direttamente con una cellula cerebrale reale in modo sorprendentemente naturale e “silenzioso”.
La vera rivoluzione di questa scoperta non sta solo nella capacità di stabilire una connessione, ma nel modo in cui avviene. Il flusso di informazioni elettriche tra la cellula artificiale e quella biologica utilizza circa lo stesso voltaggio e consumo energetico della comunicazione neuronale naturale. Si tratta di un traguardo che riduce drasticamente la distanza tra i nostri cervelli e i computer, aprendo scenari inediti per le interfacce cervello-macchina del futuro.
Per comprendere la portata di questa innovazione, è necessario confrontarla con i tentativi precedenti. Le versioni precedenti di neuroni artificiali utilizzavano un voltaggio dieci volte superiore e un consumo energetico cento volte maggiore rispetto al modello sviluppato dal team guidato dall’ingegnere Jun Yao. In termini pratici, era come se un neurone artificiale “urlasse” a squarciagola per farsi sentire da un neurone umano tipico.
Questo eccesso di potenza comportava due problemi fondamentali: un enorme dispendio energetico e il rischio che il ricevente biologico venisse sopraffatto dal segnale, perdendo così le informazioni essenziali del messaggio. Il neurone artificiale creato a UMass Amherst, invece, è in grado di sussurrare alle nostre cellule cerebrali, registrando appena 0,1 volt, esattamente come i neuroni presenti nel nostro corpo.

Altri scienziati avevano già sperimentato forme di comunicazione tra neuroni artificiali e cellule cerebrali reali, ma attraverso metodi meno convenzionali, come l’utilizzo della luce. Questo nuovo approccio replica invece un sistema molto più naturale e compatibile con i processi biologici esistenti.
Il segreto di questa svolta tecnologica risiede nell’uso di nanofili proteici coltivati da batteri. Poiché queste strutture sono di origine naturale, possono sopravvivere in ambienti umidi proprio come i neuroni reali, garantendo una compatibilità biologica senza precedenti. Questa caratteristica consente quella che i ricercatori definiscono “integrazione neuromorfologica”, ovvero la fusione tra sistemi biologici e artificiali a livello strutturale e funzionale.
Le applicazioni pratiche di questa tecnologia potrebbero rivoluzionare il settore dei dispositivi indossabili e dei sistemi di monitoraggio biomedico. Come spiega Jun Yao, attualmente disponiamo di numerosi sistemi elettronici di rilevamento indossabili, ma risultano relativamente goffi e inefficienti. Ogni volta che captano un segnale dal nostro corpo, devono amplificarlo elettricamente affinché un computer possa analizzarlo.
Questo passaggio intermedio di amplificazione aumenta sia il consumo energetico sia la complessità del circuito. I sensori costruiti con questi neuroni a basso voltaggio potrebbero invece operare senza alcuna amplificazione, rendendo i dispositivi più leggeri, duraturi ed efficienti dal punto di vista energetico.
Pensate a pacemaker che comunicano in modo più fluido con il tessuto cardiaco, protesi neurali che si integrano perfettamente con il sistema nervoso, o dispositivi di monitoraggio cognitivo che leggono l’attività cerebrale senza interferenze. Tutte queste applicazioni diventano più realistiche grazie alla possibilità di una comunicazione più “leggiadra” tra componenti artificiali e biologiche.
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Communications, rappresenta un tassello fondamentale nella costruzione di interfacce cervello-computer di prossima generazione. Mentre le tecnologie attuali richiedono hardware ingombrante e consumi energetici elevati, questi neuroni artificiali biomimetici potrebbero rendere l’integrazione uomo-macchina molto più fluida e naturale.