La Venere di Milo, capolavoro della scultura greca antica, è spesso evocata come simbolo di bellezza classica. Tuttavia, l’idea che la celebre statua conservata al Louvre incarnasse le cosiddette “misure perfette” di 90-60-90 è un mito moderno, privo di riscontri storici o artistici. Le dimensioni canoniche del corpo femminile moderno, introdotte nel mondo della moda e dello spettacolo nel secondo dopoguerra, non trovano alcun legame con i canoni estetici dell’arte greca.
La Venere di Milo (Afrodite di Milo) fu scoperta nel 1820 sull’isola greca di Melos da un contadino locale, Yorgos Kentrotas. Fu poi portata in Francia e identificata come una rappresentazione della dea Afrodite. Datata intorno al 130 a.C., la statua è attribuita ad Alessandro di Antiochia. Con i suoi 202 cm di altezza, scolpita in marmo pario, la figura della dea presenta una corporatura solida, fianchi morbidi, un ventre rilassato e un seno naturale, lontano dagli ideali corporei imposti dalla moda del Novecento.

Le famose misure 90-60-90 — riferite a seno, vita e fianchi — cominciarono a essere impiegate come standard estetico tra gli anni ’50 e ’60, parallelamente al boom dell’industria dell’intrattenimento e al successo di icone come Marilyn Monroe e Sophia Loren. Tali misure sono diventate simbolo di “perfezione” nella cultura pop, ma non corrispondono a un ideale biologicamente fondato, né tengono conto della variabilità morfologica naturale del corpo umano. Insomma, sono misure figlie di mode, cultura pop e industria dell’immagine.
Al contrario, l’arte greca, pur idealizzando il corpo umano, celebrava un tipo di bellezza dinamica e proporzionata, più attenta all’armonia complessiva che a misurazioni rigide. La Venere di Milo è un esempio eloquente: le sue forme sono morbide, realistiche, e la postura contrapposta (contrapposto) riflette l’equilibrio e la tensione interiore più che la sensualità superficiale.
L’attribuzione delle misure 90-60-90 alla Venere di Milo risulta quindi priva di fondamento e, oltre a essere storicamente inaccurata, rischia di rafforzare un’idea limitante e normata di bellezza femminile. Uno studio pubblicato sul Journal of Eating Disorders ha evidenziato come tali standard possano contribuire allo sviluppo di disordini alimentari e insoddisfazione corporea, soprattutto tra le giovani donne.