La Sindrome del personaggio principale, o Main Syndrome Principal (MSC), è un comportamento disfunzionale che porta chi ne soffre a deformare a tal punto la propria vita, creando un personaggio ad hoc, a cui vuole somigliare. La trasforma, quindi, in una grande storia di cui è l’eroe. E per esserne eroe, amplifica ogni piccolo gesto quotidiano, ribadendolo, in particolare sui social
Importante: essere i protagonisti della propria vita è lecito e sano. Il problema nasce quando, appunto, si tende a esagerare per corrispondere a una machera fasulla che si è creata. Non ha nulla a che vedere, dunque, né con l’autostima né con l’amor proprio, che sono due pilastri dell’identità umana. Semmai, la MSC è frutto di un’insicurezza cronica. Amplificata, negli ultimi anni, dalla diffusione sempre più capillare dei social.
Colui o colei che soffre di sindrome del personaggio principale, infatti, cerca di essere al centro dell’attenzione. E segue un canovaccio prestabilito per aderire a un personaggio che magari ha caratteristiche più piacevoli o che si pensa possano piacere di più. Insomma, qualcosa a metà tra lo spettacolo e la millantazione, come perfettamente incarnato dallo Stanis La Rochelle di Boris (guarda caso, un’opera che racconta come nascono le storie per la TV e il cinema).
Uno studio recente, condotto su un gruppo di studenti universitari, ha chiesto loro di leggere un racconto immedesimandosi nel ruolo di personaggio principale o secondario di un racconto. Quelli che immaginavano sé stessi nel ruolo del protagonista provavano un maggior benessere. Anche ripetendo il test a distanza di qualche tempo.
Cosa vuol dire? Che si è sempre i protagonisti della nostra vita. Ma che noi non siamo personaggi, costruiti, ma siamo esseri umani con pregi e difetti. Che poi ci rendono quelli che siamo. Dunque, sentirsi eroi o eroine fa bene. Purché ci si senta sempre sé stessi senza forzature. Fingendo di essere chi non si è.