La Sindrome di Stoccolma è una reazione psicologica in cui una vittima di sequestro o abuso sviluppa sentimenti positivi nei confronti del proprio carceriere o aggressore. Questo fenomeno, che può sembrare controintuitivo, è un meccanismo di sopravvivenza per affrontare situazioni estreme. Il nome deriva da un caso avvenuto nel 1973 a Stoccolma, dove i dipendenti di una banca, sequestrati per sei giorni, finirono per simpatizzare con i rapinatori e persino aiutarli nella loro difesa legale. Nonostante sia un fenomeno documentato, non è riconosciuto come disturbo mentale ufficiale, ma viene spesso associato a disturbi post-traumatici.

La Sindrome di Stoccolma non riguarda solo sequestri o ostaggi, ma si manifesta anche in situazioni di abuso domestico, violenza di coppia, e in generale in presenza di una relazione tossica tra persone. I sintomi includono affetto per l’aggressore, tentativi di giustificare il suo comportamento, diffidenza verso le autorità e razionalizzazione dell’abuso subito. Inoltre, chi ne soffre può sviluppare ansia, depressione, stress post-traumatico, difficoltà di concentrazione e insonnia.
Gli esperti suggeriscono che la Sindrome di Stoccolma sia una strategia di adattamento, con radici nell’evoluzione umana. Stabilire un legame con il proprio carceriere avrebbe aumentato le possibilità di sopravvivenza. Altri studiosi la collegano alla teoria dell’apprendimento, secondo cui la vittima cerca di garantire la propria sicurezza alleandosi con il suo oppressore.
Non esiste un test specifico per diagnosticare la Sindrome di Stoccolma, poiché non è formalmente riconosciuta nei manuali diagnostici. Tuttavia, i professionisti della salute mentale trattano le persone che ne soffrono con le stesse metodologie usate per il PTSD (disturbo da stress post traumatico), attraverso terapie cognitivo-comportamentali, che aiutano a rielaborare il trauma, e, se necessario, farmaci per ridurre ansia o depressione.
Alcuni casi famosi includono Mary McElroy, rapita nel 1933 e poi diventata protettrice dei suoi sequestratori, e Patricia Hearst, erede di un impero giornalistico, che nel 1974 fu sequestrata da un gruppo armato e finì per unirsi alla loro causa, partecipando a rapine.