C’è un gesto che molti di noi compiono ogni giorno, spesso senza nemmeno accorgersene. Si prende lo smartphone, si apre un social o una testata online, e si inizia a scorrere, pagina dopo pagina, tweet dopo tweet, video dopo video, concentrandosi su notizie cupe, allarmanti, angoscianti. Si chiama doomscrolling, dall’unione di doom, rovina, destino tragico, e scrolling, scorrere, ed è diventato uno dei comportamenti digitali più discussi dell’ultimo decennio.
A coniare il termine sono stati alcuni utenti di Twitter già nel 2018, ma è durante il 2020, l’anno della pandemia globale, che la parola ha fatto il suo ingresso nel lessico quotidiano. Il dizionario Merriam-Webster ha registrato il neologismo tra quelli da osservare con attenzione, e oggi è spesso usato da psicologi, sociologi e media per descrivere una tendenza ormai diffusa in ogni fascia d’età. Ma perché lo facciamo?

Secondo diversi studi, il doomscrolling è il risultato di una combinazione tra ansia, senso di impotenza e meccanismi di gratificazione cerebrale. Quando leggiamo una notizia negativa, il nostro cervello rilascia cortisolo, l’ormone dello stress. Ma allo stesso tempo, la possibilità di ricevere nuove informazioni, anche drammatiche, attiva un rilascio di dopamina, generando un ciclo di ricerca compulsiva.
Uno studio del 2021 condotto dalla Texas Tech University, poi, ha evidenziato che chi si informa compulsivamente su notizie negative mostra livelli di stress, ansia e depressione superiori alla media. Come spezzare, dunque, questo ciclo? Non è necessario abbandonare del tutto l’informazione, ma adottare alcune strategie può aiutare:
- Impostare limiti di tempo per la lettura delle notizie.
- Scegliere fonti affidabili e bilanciate.
- Alternare la lettura con contenuti positivi o di intrattenimento.
- Praticare il digital detox almeno una volta al giorno.
Infine, come suggerisce l’American Psychological Association, è importante ricordare che restare informati non significa restare immersi nella negatività. Proteggere la propria salute mentale è parte integrante di una buona cittadinanza digitale.