Direttamente dal Giappone anche in Italia, nello specifico a San Pietro Belvedere nel comune di Capannoli in provincia di Pisa, è apparso il primo telefono del vento. Si tratta di una sorta di cabina telefonica dallo scopo poetico e spirituale. Questa, infatti, non viene utilizzata per telefonare a parenti e amici ma per entrare emotivamente in contatto con chi non c’è più.
Il primo modello italiano si deve a Marco Vanni, fotografo e direttore artistico dell’associazione Life for Music. Questo, poi, ha proposto il progetto a Mattia Cei, Matteo Arcenni e Matteo Bagnoli, titolari dell’azienda agricola Podere Tegolaja. Ed ecco che un’idea si è trasformata in realtà, su una collina, immersa completamente nel verde per permettere a tutti di lasciarsi andare alle emozioni senza nessun tipo di freno inibitorio.
Come già specificato, però, l’imput iniziale proviene direttamente dal Sol levante dove, forse, il rapporto spirituale con chi ci ha lasciato rimane una parte importante dell’esistenza. Nel 2010, infatti, è stata costruita la prima cabina dal designer Itaru Sasaki. L’uomo ha pensato di metterla nel proprio giardino dopo la morte di un cugino per continuare a sentirlo vicino.
L’anno seguente, poi, ha deciso di aprirlo al pubblico, in seguito al disastroso tsunami che causò la morte di migliaia di persone. In questo modo ha voluto dare a tutte quelle famiglie la possibilità di sentire ancora vicini i loro cari. Non c’è voluto molto prima che l’iniziativa facesse il giro del mondo passando a Oakland in California, vicino Dublino, nei pressi di Aspen in Colorado, fino ad arrivare a Washington, nella contea di Madison (Carolina del Nord). Oltre a questo, poi, è stata l’ispirazione principale del romanzo Quel che affidiamo al vento, scritto da Laura Imai Messina.