Paolo Sorrentino nasce a Napoli il 31 maggio 1970. Regista, sceneggiatore, scrittore. È praticamente impossibile rinchiuderlo in una definizione. Di sicuro, è uno dei pochi autori italiani a nutrire un profondo amore per il cinema e il racconto per immagini. Abbiamo raccolto allora venti dichiarazioni che Sorrentino ha fatto negli anni per parlare della Settima arte, del suo rapporto con i film. E di cosa significhi essere un (bravo) regista. Emerge il ritratto ironico di un autore che quando ha preso tra le mani l’Oscar per La Grande bellezza ha voluto ringraziare Diego Armando Maradona, per averlo sempre ispirato. Tra le nostre fonti, due interviste rilasciate a Vanity Fair (una delle quali con Malcom Pagani). E alcuni stralci di Paolo Sorrentino al TEDxReggioEmilia.
“Comincio a girare il film quando l’ho già visto tutto nella testa. Questo deve fare un regista. Vedere”.
“Nel mio mondo ideale i film non dovrebbero più prevedere le trame e dovrebbero semplicemente raccontare a tutto tondo i personaggi; tuttavia, la trama nel film c’è, perché c’è ancora chi è appassionato di questa brutta cosa”.
“Fare il cinema può essere divertente. Le sedute di sceneggiatura che facevo da ragazzo con Antonio Capuano erano esaltanti”.
“Mi venne in mente che alla domanda ‘che cosa può raccontare il cinema?’ si poteva rispondere ‘tutto’, e questo mi dava effettivamente un brivido”.
“Una qualità che un regista deve sicuramente possedere è l’intuito, perché i film hanno tempi di lavorazione molto veloci e non c’è mai il tempo per riflettere e per far decantare le soluzioni da adottare. Quasi sempre bisogna procedere con l’istinto, scegliendo una cosa piuttosto che un’altra, e solo successivamente c’è il tempo di ragionare e verificare”.
“Quando scrivo per i film mi trattengo, mentre quando scrivo una serie devo sforzarmi di aggiungere. Nel primo caso, invece, devo sforzarmi di tagliare. La mia misura ideale sarebbe un film di 3 ore e una serie di 5 ore. Ma i film durano invece tendenzialmente due ore e le serie 10 ore”.
“Mi ha sempre dato molto fastidio sentire quegli autori che dicono di fare un percorso, di seguire una direzione: io prendo il cinema molto più alla leggera. Il cinema mi dà l’idea di un rifugio per chi non sa fare nulla, anche se in realtà poi uno le cose deve saperle fare eccome, ma è certamente una cosa molto divertente, un grande gioco. E come tale va vissuto”.
“C’è sempre chi vuole intraprendere questo lavoro e quindi mi piace dare dei consigli, ed è questo: di vedere molti film brutti e, prima di mettersi a scrivere una storia, leggere sempre il Guinness dei primati, che è quel libro nel quale c’è la più grande concentrazione di cose eccezionali che sono anche reali. Ed è questo che dovrebbe essere il cinema: eccezionale nel reale”.
“Come regista, preferisco occuparmi del desiderio. Il cinema non è l’arte giusta per l’orrore: la sua vocazione è il desiderio”.
“La scrittura è il centro di tutto. È anche la fase irrimediabile del lavoro. Ogni altra cosa è recuperabile e correggibile nel fare un film. La scrittura, se è fatta male, farà andare tutto male. Non la recuperi strada facendo”.
“Un film è il risultato del tempo che si trascorre assieme durante le riprese, non solo delle intenzioni che si avevano quando lo si scriveva”.
“La mia paura era che potessi fare quel primo film e mai un secondo, e allora dato che avevo la possibilità di raccontare due storie ne ho approfittato”.
“Per quanto mi riguarda, ogni film deve essere una caccia smodata all’ignoto e al mistero. Non tanto per trovare una risposta, quanto per continuare a tenere viva la domanda”.
“Ho sempre avuto ansia di fare i film, andavo di fretta, rompevo le palle a chiunque, ma d’altronde questo è l’unico consiglio che ho dato a chi mi chiede come si fa a fare i film: esserne ossessionati”.
“Per essere un buon regista serve senso pratico, capacità di organizzazione, un metodo e una comunicativa, vera o falsa che sia non importa. Tutto qui”.
“Il film è veramente un lavoro collettivo. Basta un elettricista con cui lavori da sempre, che magari ha accettato in precedenza un altro lavoro e deve rinunciare al tuo, per rovinare il clima complessivo”.
“Sono vecchio dentro. Da una vita. Per certe cose sono in anticipo, per altre, come la cultura, l’essere preparati, il capire le cose, sono in ritardo: faccio film che i miei colleghi hanno girato dieci anni prima, anche se sono abbastanza furbo da far credere che sto avanti”.
“Adoro scrivere, e sono un casalingo. Mi piace stare a casa e lavorare sulla sceneggiatura, poi ogni tanto durante le riprese capita che mi possa divertire, ma non più di tanto”.
“Non credo di avere uno stile, credo di adattare lo stile a quello che devo raccontare”.
“I miei sono personaggi adulti con un tratto in comune, un filo che li lega. Andreotti e Jep, o il papa di John Malkovich, sono uomini che hanno vissuto tanto e che fanno fatica a meravigliarsi della vita; quindi, sembrano un po’ addormentati”.