Il 25 luglio di 40 anni fa un annuncio scosse il mondo dello spettacolo, e non solo: Rock Hudson, divo di Hollywood dal fascino irresistibile, dichiarò di essere affetto da AIDS, diventando così uno dei primi personaggi pubblici a portare il dramma della malattia sotto i riflettori, a poco più di un anno dall’annuncio del CDC che ne ufficializzava l’esistenza e la correlazione con il virus HIV. Dietro il suo sorriso da copertina e i suoi ruoli di eroe romantico si celava una vita di segreti, sacrifici e una strenua lotta contro i pregiudizi dell’epoca. Hudson non fu solo una star del cinema ma un uomo ricco di contraddizioni, costretto a nascondere la propria identità per incarnare il sogno americano.
Nato il 17 novembre 1925 a Winnetka (Illinois), Roy Harold Scherer Jr. crebbe in una famiglia modesta, segnata dalla Grande Depressione. Dopo un breve servizio nella Marina durante la Seconda Guerra Mondiale, si trasferì a Hollywood con un sogno e poco più. Scoperto dall’agente Henry Willson, Roy fu ribattezzato “Rock Hudson” – un nome che evocava forza e carisma – e trasformato in un idolo: con il suo fisico imponente, il volto scolpito e un fascino discreto, debuttò nel 1948 in Squadrone 4 e divenne una stella negli anni ’50 con film come Il gigante (1956), accanto a Elizabeth Taylor e James Dean, e Il letto racconta (1959), con Doris Day.
Hudson dominò il grande schermo come incarnazione dell’uomo ideale, recitando in melodrammi e commedie romantiche. La sua nomination all’Oscar per Il Gigante e il successo presso il pubblico lo resero una delle star più amate di Hollywood, ma la sua vita privata era un copione di tutt’altro genere, scritto sotto il peso delle convenzioni sociali.

Negli anni d’oro di Hollywood, sotto il codice Hays, essere gay era infatti un tabù che poteva distruggere una carriera. Hudson, omosessuale, fu quindi costretto a vivere una doppia vita: il suo agente orchestrò un matrimonio di facciata con Phyllis Gates nel 1955, un’unione di breve durata per placare i gossip. Nonostante relazioni discrete, come quella con il compagno Marc Christian, Hudson mantenne il segreto, consapevole che la rivelazione avrebbe potuto porre fine al suo status di idolo. La pressione di nascondersi, in un’industria che venerava l’apparenza, lo segnò profondamente, trasformandolo in un simbolo delle contraddizioni di quell’epoca.
La sua vita privata rimase nell’ombra fino al 25 luglio 1985, quando, costretto dalla malattia, annunciò di avere l’AIDS. La notizia, diffusa da Parigi dove era in cerca di cure, fu un fulmine a ciel sereno: Hudson fu tra i primi vip a rivelare pubblicamente la loro diagnosi, sfidando lo stigma associato alla malattia che ai tempi era considerata una “piaga” legata all’omosessualità o persino una punizione divina. La sua lotta portò attenzione globale all’AIDS, contribuendo a sbloccare finanziamenti per la ricerca e cambiando il modo in cui il mondo vedeva la pandemia.
La malattia di Hudson fu comunque un dramma personale e pubblico: nonostante il suo appello per cure sperimentali, non trovò il supporto sperato nemmeno presso il suo amico Ronald Reagan, ai tempi presidente degli Stati Uniti; questo rifiuto lo ferì in modo particolarmente profondo. Hudson morì il 2 ottobre 1985, a 59 anni, nella sua casa di Beverly Hills. La sua morte ispirò veri amici come Elizabeth Taylor e altre celebrità a fondare organizzazioni per la lotta contro l’AIDS, dando voce a chi era stato emarginato.