Basta dire Born in the U.S.A. e subito davanti ai vostri occhi compare l’immagine della cover. Bruce Springsteen è in jeans e t-shirt bianca (come i veri ribelli), visto di schiena, con davanti a sé la bandiera a stelle e strisce e un cappello da baseball in tasca. Tutti simboli fortissimi della cultura americana, scelti in maniera precisa per incarnare lo spirito del disco. Fu la celebre Annie Leibovitz a scattare la foto. E molto giocò sul significato profondo della canzone che ha dato il titolo al disco. Che solo a un primo superficiale ascolto poteva sembrare un inno alla forza dell’America, ma invece raccontava di una crescente disillusione per una società debole dalle fondamenta. Bruce Springsteen rivelò che non c’era alcun significato provocatorio nel porre il suo sedere davanti alla bandiera. Semplicemente, lo scatto del suo lato B era meglio di quello della sua faccia.
Un modo intelligente di stemperare pseudo polemiche attorno a un disco, uscito il 4 giugno del 1984, che è stato sempre frainteso da tutti. Come detto, a una prima lettura, infatti, Born in the U.S.A. poteva sembrare una sorta di celebrazione patriottica. In realtà, il Boss aveva scritto il pezzo per parlare della grande disillusione dopo la guerra in Vietnam. Un disastro sociale e politico colossale per gli States che non si ripresero mai più da quella tragedia. Che uccise migliaia di giovani americani e ridusse alla disperazione i sopravvissuti.
Visualizza questo post su Instagram
Fu a loro, ai reduci tenuti ai margini della società, che il Boss si rivolse. Loro erano i testimoni di un american dream mai del tutto reale. Insomma, era in parte un tributo ai combattenti e ai caduti. Non certo una parata nazionalistica. Anche per questo negò i diritti della canzone a Ronald Reagan che avrebbe voluto appropriarsene per la sua campagna presidenziale.