Il colore viola, diretto da Steven Spielberg ed interpretato da una giovane Whoopi Goldberg nel 1985, termina con una scena di grande emozione in cui il personaggio di Celie, dopo una vita di vessazioni, umiliazioni e violenze subite dal marito Albert e dal padre, riesce a ricongiungersi finalmente alla sorella e ai suoi due figli. Un evento che deve, in modo inaspettato, proprio all’uomo che ha odiato per gran parte della sua esistenza.
Rimasto solo e in rovina, infatti, Albert comunica a maturare dentro di sé il pentimento per tutte le angherie imposte alla donna per troppi anni. Per questo motivo, nel momento in cui vede recapitare in casa una lettera dell’ufficio immigrazione statunitense in cui si chiede il rientro negli Stati Uniti proprio di Nettie, Adam ed Olivia, decide di mettere a disposizione ciò che rimane del proprio denaro per agevolare il ricongiungimento.
In questo modo, dunque, la vita di Celie si completa, anche grazie all’eredità inaspettata ottenuta dal suo vero padre. Il terreno, il negozio e la casa, infatti, la rendono finalmente una donna libera ed indipendente dopo decenni di schiavitù emotiva e fisica nei confronti di un marito padrone. Una storia, dunque, di sofferenza e rivalsa femminile che cammina, di pari passo, anche con la condizione delle donne di colore da inizio novecento fino alla fine degli anni trenta. La stessa raccontata nel romanzo omonimo di Alice Walker e che, nella sua trasposizione cinematografica, ottiene 11 nomination agli Oscar senza, però, portarne a casa uno. Forse i tempi non erano ancora maturi?