C’è un paradosso affascinante dietro il mito di Frank Capra, il regista che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare l’America del sogno e delle seconde possibilità: non era nato negli Stati Uniti. Francesco Rosario Capra, infatti, viene al mondo a Bisacquino, un piccolo paese in provincia di Palermo, nel 1897. Ha solo sei anni quando, insieme alla famiglia, salpa da Palermo per raggiungere la California. Il viaggio in terza classe, stipato con centinaia di altri emigranti, è il preludio di una vita che avrebbe trasformato la sua storia personale in un simbolo universale.
Arrivato a Los Angeles, infatti, Capra conosce da subito la durezza dell’integrazione. La sua è una famiglia modesta: il padre trova lavoro come fruttivendolo ambulante e lui stesso deve contribuire con piccoli lavoretti. Eppure, Francesco, che divenne ben presto Frank, mostra una determinazione fuori dal comune. Si laurea in ingegneria chimica al prestigioso Caltech, un risultato straordinario per un figlio di immigrati siciliani. Ma la vera strada non è quella delle formule, bensì delle immagini.

Negli anni venti Hollywood stava inventando se stessa. Ed in questa atmosfera Capra entra nel mondo del cinema quasi per caso, lavorando prima come tuttofare sui set e poi come sceneggiatore. Il salto alla regia, però, arriva presto e, negli anni Trenta, il suo nome diventa sinonimo di un genere preciso: la commedia ottimista, capace di mescolare risate e critica sociale. I suoi film, però, non sono solo intrattenimento ma storie di uomini e donne comuni, spesso schiacciati dal potere, che trovavano la forza di ribellarsi e riscattarsi.
Il suo capolavoro del 1934, Accadde una notte, fa scuola. Vince cinque Oscar, un record per l’epoca, e consacra Clark Gable e Claudette Colbert come icone. Poi arrivano Mr. Smith va a Washington (1939), una lezione di democrazia e coraggio civile, e Arriva John Doe (1941), riflessione amara ma ancora intrisa di speranza. Con La vita è meravigliosa (1946), però, Capra firma forse il suo film più amato. La storia di George Bailey, infatti, uomo comune che scopre il valore della propria vita grazie a un angelo custode, continua a commuovere generazioni di spettatori.
Dietro le luci e i lieti fine, tuttavia, c’è la coscienza politica di un emigrato. Capra conosceva la fatica dell’integrazione e la durezza delle disuguaglianze. Nei suoi film, la fiducia nell’individuo è sempre accompagnata dalla critica alle ingiustizie di un sistema che rischiava di schiacciare i più deboli. La sua commedia americana, infatti, è costruita proprio su questo equilibrio: sorrisi e leggerezza, ma anche un invito alla riflessione.
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