Marcello Mastroianni è stato uno dei simboli del cinema italiano nel mondo. Nato il 28 settembre del 1924 a Fontana Liri, in provincia di Frosinone, ha da sempre avuto la fama del latin lover, incarnando, suo malgrado, l’ideale del seduttore italiano. Eppure, nella sua carriera, costellata da grandi successi e incontri artistici leggendari come quello con Federico Fellini, con il quale ha girato sei film, la virilità che rappresentava era quella di un maschio fragile e problematico. Ecco, dunque, alcune delle sue riflessioni più belle sulla recitazione, sul suo essere sex symbol e sulla vita. Tra le fonti consultate, un’intervista a Oriana Fallaci e una rilasciata alla pubblicazione dell’UNESCO.
“Recitare è un piacere, è una grande emozione. Perché uno fantastica, racconta delle fiabe, a volte divertenti, a volte tragiche – ma non essendo mai veramente coinvolto”.
“Ho troppe qualità per essere un dilettante e non ne ho abbastanza per essere un professionista”
“Mi ricordo che Cicerone è nato nel 106 avanti Cristo, 2122 anni prima di me: però a due passi da casa mia, ad Arpino. Mio nonno ne era orgoglioso: ‘Vitam regit fortuna, non sapientia’, mi diceva citando il nostro concittadino. Poi sospirava: ‘Eh sì,è la fortuna che regge la vita, non la saggezza’”
“Ho lavorato molto con De Sica prima di interpretare un film sotto la sua regia. Ho avuto sempre con lui un rapporto molto affettuoso, un po’ al di fuori di quella che è la professione. Lo guardavo come uno zio, non sono mai riuscito a dargli del tu, mentre lui mi dava del tu. Era un rapporto, oserei dire, quasi di parentela, forse per via della stessa origine ciociara, quindi era una persona a cui volevo bene, per la quale sentivo molto affetto. A parte l’ammirazione per il regista, c’era un legame che era al di fuori del cinema, associati a fatti proprio adolescenziali; e poi lui aveva questo fisico, questa testa bianca da parente suggestivo, leggendario, uno zio importante”.
“Quand’ero giovane mi sembrava che la vita fosse lunghissima, eterna. Adesso invece, quando guardo all’indietro, mi accade di dire: ‘Ma quel film, quando l’abbiamo fatto? Cinque anni fa?” Ma che cinque anni fa! Quindici anni fa’! ‘Quindici anni fa?'”
“Io ho avuto tanta fortuna, solo fortuna. La fortuna che a Luchino Visconti servisse un giovanotto rozzo come me. La fortuna che la sua compagnia fosse la più importante e allineasse attori come Ruggero Ruggeri, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Vittorio Gassman. La fortuna che Gassman se ne andasse e io prendessi il suo posto. La fortuna che mi offrissero il cinema, infine, grazie a questo nasino che detesto. Ma il successo di un attore non è quasi mai legato a ragioni nobili e serie”.
“Oggi è il mio compleanno. Compio settantadue anni. Be’, è una bella età. Quando ne avevo venti, immaginando un uomo di settantadue anni, l’avrei visto come un vecchio bacucco. Ma io non mi sento così vecchio. Forse perché ho avuto la fortuna di lavorare, senza sosta. Credo di aver superato i centosettanta film: un bel record. Quindi l’ho ben riempita, la mia vita. Mi posso contentare. Insisto: sono fortunato”.
“Io amerei vivere su un pianeta tutto napoletano perché so che ci starei bene”.
“Non mi sento per niente vecchio. Al massimo, leggermente anziano”.
“Per essere un Latin Lover un uomo deve essere soprattutto un gran stronzo, deve essere infallibile e io non lo sono. Spesso faccio un pasticcio”.
“[A Roma] […] in Via del Corso […], sentii dietro di me uno che fece “ammazza le rughe! Hai visto come si è invecchiato?” Detto forte, perché io potessi sentire. Non so se lo dicesse a una ragazza o a chi: “ammazza le rughe!” La stessa cosa mi è accaduta a Napoli. “Marcelli’, c simm fatt vecchiariell eh? ‘O vulit nu cafè?” La vedete la differenza?”
“Un attore fa di tutto per diventare celebre e poi, quando ci riesce, si mette un paio di occhiali scuri per non farsi riconoscere”.
“Non mi piaccio. Non mi sono mai piaciuto neanche fisicamente. Non mi piaccio quando mi osservo allo specchio: questo nasino corto, questa bocca cicciuta (…). Io sono carino e un uomo non deve essere carino. Più ci penso e più mi chiedo come sia possibile che una faccia simile mi dia da mangiare. Che la gente ci veda il volto di un’epoca, anzi il simbolo di un uomo ambiguo, confuso, egoista immaturo”.
“Fare cinema non è stata una cosa che ho deciso in maniera cosciente. Ho iniziato in una parrocchia. Ho continuato a farlo a scuola e all’università dove ho studiato architettura. Eravamo dilettanti, ma non eravamo male…”
“Non sono sempre stato veramente qualcuno come Clark Gable o John Wayne. Di fronte a una donna ero sempre un po’ confuso. Ho sempre detto: ‘Ma perché mi chiami Latin Lover?’ Questa è una cosa di cui non so il motivo. Perché, guardando i miei film, in tutta la mia carriera non ho mai interpretato il ruolo di un uomo che catturasse una donna, un uomo forte. Sempre un uomo fragile in qualche modo”.
“È sempre meglio lavorare con gli amici. Tutto è più comodo. Sono molto legato a Fellini, o a Ettore Scola. Non solo quando lavoriamo insieme, anche fuori dal set”.
“Nella tradizione, gli attori sono nomadi. Si dice anche che questo sia il motivo per cui gli attori vivono a lungo, perché cambiano spesso scenario”
“Lavorare con Fellini era un costante divertimento, pretendeva tanto senza perdere mai il suo senso dell’umorismo”.
“La TV è un’invenzione straordinaria, ma fa crescere la solitidine e impedisce alle persone di andare al cinema, incoraggiandole a stare a casa”.
“Il mio primo ricordo del cinema è stato Ben-Hur. Avevo sei anni ed ero emigrato a Torino con la mia famiglia. Non lo dimenticherò mai”.