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Home » Sport » Italia-Israele spacca i tifosi: perché la FIFA punisce la Russia e premia Israele?

Italia-Israele spacca i tifosi: perché la FIFA punisce la Russia e premia Israele?

Italia-Israele si gioca per eliminare Israele dai Mondiali. Analisi della partita più controversa delle qualificazioni e dei motivi politici dietro l'assenza di boicottaggio.
Gabriella DabbeneDi Gabriella Dabbene14 Ottobre 2025
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Una protesta svoltasi ieri alla sede della FIGC a Roma
Una protesta svoltasi ieri alla sede della FIGC a Roma (fonte: Fanpage)
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Questa sera alle 20:45 si disputerà allo stadio Friuli di Udine una delle partite più controverse degli ultimi anni: Italia-Israele, valida per le qualificazioni ai Mondiali. Una partita che, paradossalmente, si gioca proprio per evitare che la nazionale israeliana raggiunga il torneo mondiale. A confermarlo è stato Renzo Ulivieri, presidente dell’Associazione degli Allenatori Italiani, con una dichiarazione che ha espresso ad alta voce il pensiero di molti: “Noi non possiamo non giocare Italia-Israele perché potremmo finire per favorire Israele. Questa è l’ultima cosa vogliamo, ovvero che questo governo e la squadra che rappresenta questo governo vada anche ai Mondiali”.

La logica è tanto semplice quanto cinica dal punto di vista sportivo. Dopo la sconfitta di Israele contro la Norvegia dello scorso sabato, una vittoria azzurra chiuderebbe matematicamente le porte della qualificazione mondiale alla nazionale israeliana. Non giocare significherebbe regalare tre punti a tavolino a Israele, tenendo in vita le sue speranze e, cosa ancora più grave per l’Italia, compromettendo definitivamente le possibilità azzurre di qualificazione. Sarebbe il terzo mondiale consecutivo saltato dalla nazionale italiana.

Le ipotesi di boicottaggio, discusse nelle settimane precedenti, non si sono mai concretizzate in decisioni reali. La politica del calcio ha deciso di aspettare ed eventualmente eliminare sportivamente la squadra israeliana piuttosto che affrontare la questione politicamente spinosa dell’esclusione. Giocare significa risolvere il problema della presenza israeliana senza dover prendere posizioni ufficiali, lasciando che sia il campo a decidere.

Tuttavia, fuori dallo stadio la situazione è tutt’altro che pacificata. Nonostante l’accordo di pace appena siglato tra Israele e Hamas, è prevista una manifestazione che porterà in strada 10mila persone, duemila in più dei biglietti venduti fino a lunedì 13 per assistere alla partita. Il timore delle autorità è che ci siano infiltrati, anche dall’estero, nel corteo che passerà nelle vicinanze dell’albergo dove alloggia la squadra israeliana durante il pomeriggio. Una partita che raccoglierà più gente fuori che dentro lo stadio.

La domanda che molti si pongono è: perché la Russia è stata esclusa dalle competizioni internazionali dopo l’invasione dell’Ucraina e Israele no, nonostante la guerra a Gaza? La risposta, secondo lo storico dello sport Nicola Sbetti, sta nei rapporti di forza e nella pressione politica. Nel caso russo, la violazione della tregua olimpica è stata utilizzata come giustificazione formalmente neutrale per una decisione sostanzialmente politica. Il presidente della Uefa Aleksander Ceferin lo ha ammesso candidamente in un’intervista a Politico: “Con la situazione in Russia e Ucraina, c’era una pressione politica molto forte“.

La bandiera palestinese e lo striscione con scritto "Let children live" mostrati dai tifosi norvegesi durante la partita Norvegia-Israele di sabato scorso
La bandiera palestinese e lo striscione con scritto “Let children live” mostrati dai tifosi norvegesi durante la partita Norvegia-Israele di sabato scorso (fonte: Reddit)

Per Israele quella pressione non c’è stata. Come spiega Sbetti, “è impensabile chiedere alla federazione calcio di un Paese che è alleato con Israele, che non riconosce lo Stato palestinese e che quindi ha una posizione politica filo-israeliana, di prendere una posizione così dissonante e discordante dalla posizione del governo”. Le organizzazioni sportive internazionali sono disposte a rinunciare a un loro membro solo se il prezzo per mantenerlo è troppo alto in termini di consenso e pressione pubblica.

La storia dello sport è costellata di esclusioni e boicottaggi politici. Dopo la prima guerra mondiale, Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia furono considerate inaccettabili come avversari sportivi dalle liberaldemocrazie. Il Sudafrica dell’apartheid venne escluso dalle competizioni internazionali, ma solo quando i paesi africani entrarono nel Comitato Olimpico Internazionale e si rifiutarono di competere contro squadre esclusivamente bianche. La ex Jugoslavia in guerra fu esclusa dagli Europei del 1992, poi vinti dalla Danimarca ripescata all’ultimo momento.

La presenza di Israele nelle confederazioni europee, piuttosto che in quelle asiatiche dove geograficamente apparterrebbe, è essa stessa frutto di dinamiche politiche. Dopo le guerre dei Sei giorni e dello Yom Kippur, la pressione dei Paesi arabi portò Israele a diventare prima “apolide” sportivamente, per poi essere accolto nelle confederazioni europee con gli accordi di Oslo. Questo spostamento, paradossalmente, sta ora aiutando Israele: se giocasse in Asia, le manifestazioni, le bandiere palestinesi e il pubblico ostile sarebbero la norma, non l’eccezione.

Ci sono comunque gesti simbolici che potrebbero rendere questa partita più significativa dei semplici tre punti in palio. La Norvegia, che ha riconosciuto la Palestina come Stato, ha devoluto l’incasso dell’incontro casalingo contro Israele a un’organizzazione umanitaria che lavora per la Palestina. Le calciatrici della nazionale italiana hanno giocato tutto l’europeo con polsini su cui era scritta la parola “peace”. Piccoli segnali in un panorama dove le grandi decisioni restano bloccate dai veti incrociati della politica internazionale.

Questa sera, in diretta su Rai Uno, l’Italia scenderà in campo con un obiettivo paradossale: vincere per eliminare un avversario che molti vorrebbero già escluso dalle competizioni. Una partita che si deve giocare proprio perché nessuno la vuole davvero, in cui il risultato sportivo diventa lo strumento per evitare una decisione politica che nessuna federazione europea vuole prendere. Il calcio, ancora una volta, dimostra di essere molto più di uno sport: è il palcoscenico dove si consumano le contraddizioni del nostro tempo.

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