Si chiama sfascino ed è un antichissimo rito contro il malocchio che in Calabria fanno da secoli. Un cerimoniale che si perde nella notte dei tempi, che mescola sacro e profano, e che si tramanda di generazione in generazione. Si tratta di una cerimonia condotta quasi esclusivamente da donne, le magare o magaruse, in genere le più anziane della comunità, ogni volta che se ne presenta l’occasione.
Essere affascinati, infatti, vuol dire essere sottoposti a pensieri malevoli da parte di altre persone. La parola affàscinu deriverebbe infatti dal catalano fascinar che vuol dire malia. Quando si è affascinati ci si sente pesanti, molto stanchi e si sbadiglia molto. All’arrivo di questi “sintomi” è il momento in cui ci si rivolge all’esperta, una comare, la propria nonna o come detto una personalità di spicco della propria comunità, che in men che non si dica si prende carico della situazione. La donna fa sedere l’affascinata o l’affascinato davanti a sé. Dopo aver fatto il segno, segna tre volte il segno di croce sulla fronte della persona che chiede “aiuto”.
La magara inizia a bisbigliare una serie di preghiere e formule segrete. In questo modo prende su di sé il “malocchio” della persona, lo alleggia (alleggerisce). L’esperta quindi inizia a lacrimare e a sbadigliare a sua volta. Se il primo sbadiglio arriva sull’Ave Maria, vuol dire che il malocchio è stato fatto da una donna. Al contrario, se arriva sul Padre Nostro, è un uomo ad averlo fatto. Il rito finisce quando la curatrice sente di aver finito. Spesso il momento finale è accompagnato da una frase ripetuta tre volte “tras’ buon’occhio, esc’ malocchio“, che la magara dice con movimenti della mano. A quel punto saluta la persona che si sentirà meglio.
A volte, dipende dalle zone della Calabria, la donna accompagna lo sfascino con un altro rituale. Versa cioè acqua e sale in un pentolino e li benedice facendo il segno della croce più volte. Quando l’acqua bolle, viene gettata nel punto in cui si incrociano due strade. Per prolungare il senso di benessere in certi casi si prepara la cosiddetta vurza, un piccolo sacchetto di stoffa, contenente sale (e a volte un peperoncino) e immagini sacre, che si cuce all’interno degli indumenti intimi. Come detto la formula del rito dell’affascino è segreta e la curatrice la trasmette solo ad altre tre persone, a mezzanotte della notte di Natale.
La questione dell’affascino è molto sentita nella regione meridionale. Tra i modi di dire calabresi, infatti, c’è la locuzione fòra fascino o fòra malocchio, quando si vuol fare i complimenti a qualcuno senza però lanciare influenze negative. Per rafforzare la cosa, poi, si sputa nella direzione della persona. In questo modo si blocca l’affascinu.