Appunti di un venditore di donne, il film diretto da Fabio Resinaro che è stato distribuito su Sky Cinema a partire dal 25 giugno 2021, è tratto da una storia vera? La risposta è no, anche se la Milano notturna e da bere della pellicola, interpretata da Mario Sgueglia e Miriam Dalmazio, trae ispirazione dal romanzo omonimo di Giorgio Faletti.
Siamo a Roma, è il 1978 e le Brigate Rosse hanno rapito Aldo Moro; in Sicilia boss mafiosi come Gaetano Badalamenti soffocano ogni tentativo di resistenza civile e all’ombra della Madonnina le bande di Vallanzasca e Turatello fanno salire la tensione in una città già segnata dagli scontri sociali. Ma anche in questo clima la dolcevita del capoluogo lombardo, che si prepara a diventare la “Milano da bere” degli anni Ottanta, non conosce soste.
Si moltiplicano i locali in cui la società opulenta, che nella bella stagione si trasferisce a Santa Margherita e Paraggi, trova il modo di sperperare la propria ricchezza. È proprio tra ristoranti di lusso, discoteche, bische clandestine che fa i suoi affari un uomo enigmatico, reso cinico da una menomazione inflittagli per uno “sgarbo”. Si fa chiamare Bravo. Il suo settore sono le donne. Lui le vende. La sua vita è una notte bianca che trascorre in compagnia di disperati, come l’amico Daytona.
L’unico essere umano con cui pare avere un rapporto normale è un vicino di casa, Lucio, chitarrista cieco con cui condivide la passione per i crittogrammi. Fino alla comparsa di Carla che risveglierà in Bravo sensazioni che l’handicap aveva messo a tacere. Ma per lui non è l’inizio di una nuova vita bensì di un incubo che lo trasformerà in un uomo braccato dalla polizia, dalla malavita e da un’organizzazione terroristica. Un noir fosco su uno dei momenti più drammatici del dopoguerra italiano, in una Milano che oscilla tra fermenti culturali e bassezze morali.
A proposito del libro e della storia, il regista di Appunti di un venditore di donne ha affermato: “Il romanzo raccontava atmosfere precise e ben descritte, la sfida era ricrearle. Milano ora è diversa, molto moderna, ho scelto di girare come fossimo negli anni ’70, senza pormi alcun limite, sapendo di dover intervenire poi con gli effetti digitali per ricostruire i fondali. La sensazione, in questo modo, è di un’immersione in quegli anni. Bravo si aggira in una Milano da bere che ho cercato di ricostruire con molti riferimenti d’epoca, con nei neon anche esagerati, per stilizzare e creare compattezza visiva. È una città notturna, che racconta di criminali disobbedienti, anche se il protagonista è una sorta di infiltrato, ma ha un piano, e mi piacciono sempre i protagonisti con un piano per rivoluzionare un sistema che opprime. Sapevo di aver capito la storia e sentivo il personaggio nel profondo, con uno scontro generazionale e la metafora dei padri che hanno schiacciato i figli, oltre a un sistema opprimente con decisioni calate dall’alto da un potere contro cui bisognerebbe fare qualcosa.”