Negli ultimi anni si è sentito spesso parlare di hikikomori, un termine giapponese che indica una particolare condizione in cui versano diversi gruppi di adolescenti o giovani adulti. Questo termine significa proprio “chiudersi”, “restare in disparte” e rappresenta il fenomeno, ormai noto anche in Italia, di ragazzi che tendono a richiudersi all’interno delle loro stanze, a casa dei genitori, e a non volerne uscire, restando spesso in condizioni di sporcizia e disordine.
Tra le principali cause di questo comportamento, c’è il rifiuto delle responsabilità e dell’omologazione formale alla società, che mette gli individui sotto pressione al fine di raggiungere determinati obiettivi, di vita ma soprattutto lavorativi. In aggiunta, l’assenza della figura paterna (per lavoro) e la dipendenza verso la figura materna, sono alcune delle condizioni che ne aumentano lo stazionamento.
Dal 2020 in poi, sono aumentate le ricerche di questo fenomeno anche in Italia: complice la pandemia, questo fenomeno è stato scoperto anche nel nostro Paese, dove molti giovani rifiutano di riprendere i contatti sociali con il mondo esterno.
Per una possibile cura, si può far riferimento alla psicoterapia, utilizzando anche una terapia farmacologica nei casi più gravi. Ma prima di questi trattamenti di tipo clinico, si può partire dall’interno: avere molta pazienza, senza invadere lo spazio dell’hikikomori con aggressività o violenza, ed aumentare la presenza delle figure di riferimento (oltre i genitori) come gli amici e gruppi di pari. A questo proposito una buona soluzione alla risoluzione di questo tipo di isolamento, può essere quella dello spostamento in strutture residenziali dove altri ragazzi hikikomori possono avere la possibilità di socializzare e condividere la propria esperienza rispetto all’isolamento.
Insomma, il pericolo numero uno per questo tipo di ragazzi non è la mancanza di obiettivi, ma la solitudine. E solo comprendendo questo possiamo fare qualcosa di veramente utile per loro e il loro ritorno fra gli altri.
(Francesco Marzano è psicologo, psicoterapeuta e psicodrammatista, si occupa di rapporti tra psicologia e cinema e dell’impatto sugli spettatori.)