Francesco Schiavone per molti anni è stato al vertice del clan dei casalesi, conosciuto soprattutto come Sandokan, un soprannome dovuto, in particolare, ad una vaga somiglianza con l’attore Kabir Bedi che, negli anni Settanta, ha interpretato la tigre della Malesia in una famosa serie tv della Rai. Va detto che Schiavone, per la cronaca, ha avuto anche un secondo soprannome, a dirla tutta, meno lusinghiero e avventuroso del primo: Cicciariello.
Nell’ambiente malavitoso della Campania non è raro che i criminali abbiano dei soprannomi, basta leggere Gomorra di Roberto Saviano, per farsi un’idea degli appellativi bizzarri che sono stati affibbiati ai boss più pericolosi, da Raffaele Cutolo, che era chiamato ‘o Professore (perché in cella era l’unico a saper leggere) a Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte fino a Pasquale Barra, detto l’animale – di lui abbiamo parlato a proposito della spaventosa morte di Frank Turatello, in carcere.
Tornando a Schiavone, oggi l’uomo ha 70 anni e, dopo aver guidato una delle organizzazioni criminali più potenti d’Italia, crimine per cui si trova da 26 anni in detenzione, ha deciso di diventare un collaboratore di giustizia.
La sua “carriera” criminale è iniziata come autista di Umberto Ammaturo, uno tra i più potenti boss della camorra negli anni ’70 e ’80. Successivamente arriva la promozione, rappresentata dall’entrata della Nuova Famiglia di Antonio Bardellino e Mario Iovine, in lotta con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.
Nel 1988, però, Bardellino viene ucciso in circostanze misteriose in Brasile. Un omicidio mai accertato, visto che il suo corpo non è stato ritrovato. Una morte che, stando alle ricostruzioni effettuate durante il processo Spartacus, sia stata ordinata proprio da Sandokan. Questo, infatti, con la scomparsa del boss, diventa il leader del clan dei casalesi.
Dopo vari tentativi di arresto, quello definitivo arriva l’11 luglio 1998., quando viene sorpreso all’interno di un rifugio nella sua Casal di Principe, in compagnia delle sue due figlie piccole avute durante la latitanza. Il provvedimento giudiziario a suo carico si è concluso, ovviamente, con la condanna all’ergastolo che sta scontando nel carcere de l’Aquila.
Ad oggi, dunque, ha deciso di collaborare con la giustizia e il suo intervento potrebbe aiutare a far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’assassinio di Antonio Bardellino, o gli intrecci tra camorra e politica.