Partigiano, attivista antifascista, poeta, autore, regista teatrale ed esperto mirmecologo, ossia studioso della vita delle formiche. Questo e molto di più è stato Aldo Braibanti, una personalità della cultura contemporanea probabilmente estraneo a molti ma che Carmelo Bene ha definito “genio straordinario”. Un talento che, a causa di uno dei più grandi scandali di natura omosessuale, dal 1968 è stato costretto a vivere ai margini della società e, soprattutto, del mondo artistico cui apparteneva di diritto. E a cui Gianni Amelio ha dedicato un film, Il signore delle formiche, interpretato da Luigi Lo Cascio.
Un intellettuale senza etichette
Nato nel 1922 in provincia di Piacenza, Braibanti è sempre stato un uomo al di fuori di qualsiasi schema o facile incasellamento. Una caratteristica particolarmente stimolante per chi ha apprezzato la sua opera e il genio che l’ha mossa ma che, al tempo stesso, è stato anche un punto debole sfruttato da chi ha provato ad attaccarlo e distruggerlo. Al di là di tutto, però, questo aspetto ha spinto l’uomo e l’artista a seguire sempre i propri ideali. per questo motivo, durante gli anni della guerra, decide di prendere parte alla resistenza partigiana a Firenze. Uno schieramento che lo ha portato ad essere imprigionato e a subire non poche torture da parte delle forze nazi fasciste.
Al termine della guerra, poi, aderisce al Partito Comunista diventando membro del comitato centrale. Già negli anni della resistenza, comunque, la scrittura, in modo particolare quella poetica, fa parte della sua vita. Le opere prodotte dal 1940, però, sono andate tutte perdute, perché confiscate dalle S.S. La politica attiva, comunque, non ha fatto parte della sua vita per molti anni. Già nel 1947, infatti, abbandona il suo incarico per dedicarsi esclusivamente alla letteratura e alla produzione artistica in genere.
Il laboratorio culturale
Il suo amore per l’elemento creativo si esprime nella pratica con la creazione di un laboratorio culturale sui generis. Fondato a Farnese di Castell’Arquato. Qui da vita ad una produzione artistica versatile, fra ceramiche, poesia, teatro e collages. Accanto a lui partecipano all’esperienza Renzo e Sylvano Bussotti, i fratelli Bellocchio e Carmelo Bene. Il progetto, comunque, riscuote un grande successo tanto che le opere prodotte vengono esposte in diverse città europee ed anche negli Stati Uniti.
In questo senso, dunque, Braimbati può essere considerato un vero e proprio precursore, capace d’immaginare un contesto culturale al di fuori di definizioni rigide. Allo stesso periodo, poi, risalgono anche i numerosi testi che hanno dato vita alla raccolta, Il circo e altri scritti. Il tutto diviso in quattro volumi all’interno dei quali sono suddivisi componimenti poetici, opere teatrali e saggi.
Gli anni romani
Con la chiusura del laboratorio a causa della cessione del contratto d’affitto non rinnovato, Braimbati arriva a Roma. Qui inizia a lavorare in maniera più sistematica nel campo della drammaturgia, della sceneggiatura cinematografica e radiofonica. I risultato sono importanti e particolarmente apprezzati. Tra le collaborazioni più importanti si ricordano quella con Piergiorgio Bellocchio, con cui lavorò per un periodo alla fondazione della rivista Quaderni Piacentini.
A questa si aggiunge la versione radiofonica del suo lavoro teatrale Le ballate dell’Anticrate, che verrà trasmessa da Radio 3 nel 1979. Un progetto realizzato insieme a Vittorio Gelmetti . Per finire, poi, tra il 1967 e il 1968, gira Transfert per kamera verso Virulentia, un’opera molto diretta in cui viene esplorato il rapporto tra persuasione e violenza, tra persuasione palese e persuasione occulta. La sua attività creativa, dunque, sembra inarrestabile fino a quando, almeno, non viene coinvolto in uno degli scandali più vergognosi di cui sono vittime lui e il suo compagno Giovanni Sanfratello.
Sotto il nome di plagio
Nel 1969 Alberto Moravia scrive un libro dedicato proprio al caso di Braibanti intitolato sotto il nome di plagio. Questo è ispirato all’accusa che viene rivolta all’intellettuale per la sua relazione omosessuale con il compagno Sanfratello. In Italia, infatti, non esiste una legge che consideri l’omosessualità un reato. Per questo motivo l’unico appiglio legale è rappresentato proprio da un’eventuale accusa di plagio.
Ed è esattamente quella di cui si avvale la famiglia di Giovanni, allora ventitreenne. Di forte estrazione cattolica e tradizionalista, il padre in particolare non comprende la relazione che esiste tra i due uomini. Per questo motivo, il 12 ottobre 1964, Ippolito Sanfratello presenta una denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti. L’artista viene accusato di aver influenzato negativamente Giovanni e di avergli imposto i propri valori e la propria visione del mondo, fra cui i suoi gusti sessuali.
Ma l’orrore di questo caso non termina certo qui. Giovanni, infatti, viene portato via a forza e rinchiuso in un manicomio a Verona per quindici mesi. Un periodo di tempo praticamente infinito in cui viene sottoposto a elettroshock e vari coma insulinici. Quando viene dimesso, poi, è costretto a vivere a casa dei suoi genitori e a leggere libri vecchi di almeno cento anni.
La gogna
Braibanti, invece, deve affrontare la gogna giuridica e mediatica. E questo nonostante l’appoggio incondizionato di tutto l’ambiente culturale dell’epoca. A suo favore, infatti, si schierano pubblicamente Marco Pannella, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Dacia Maraini e Umberto Eco. Quest’ultimo ricorderà l’accaduto con queste parole:
Il caso di Aldo Braibanti è un ‘caso’ non giudiziario, ma politico e civile, perché ha messo in opera alcuni meccanismi di pensiero e di comportamento che costituiscono una minaccia permanente per ogni uomo libero
Il pubblico ministero, infatti, lo condanna a nove anni di reclusione, nonostante le testimonianze a suo favore anche da parte di Giovanni Sanfratello. La pena, poi, viene commutata a quattro di cui Braibanti sconta solo due anni, visto che gli altri gli vengono condonati per la sua attività di partigiano.
I motivi della gogna
Perché, però, distruggere in modo così minuzioso la vita di un uomo? Presumibilmente Braibanti è stato il capro espiatorio di una società tradizionalista che, alla fine degli anni sessanta, stava perdendo pericolosamente terreno. Per questo motivo condannare un uomo di sinistra e libero pensatore poteva avallare il pericolo di corruzione da parte di una determinata cultura.
Un tentativo, però, che non ha certo bloccato la normale ed inevitabile evoluzione della società. E che, invece, è andato a definire in modo importante la vita del singolo. Trentacinque anni dopo, in Emergenze. Conversazioni con Aldo Braibanti, il diretto interessato ricorderà quel periodo con queste parole:
Quel processo, a cui mi sono sentito moralmente estraneo, mi è costato due nuovi anni di prigione, che però non sono serviti a ottenere quello che gli accusatori volevano, cioè distruggere completamente la presenza di un uomo della Resistenza, e libero pensatore […]. Purtroppo la colpevole superficialità di gran parte dei media ha cercato da allora di etichettarmi in modo talmente odioso che per reazione ho finito col chiudermi sempre più in un isolamento di protesta, fuori da ogni mercato culturale.