L’amiloidosi è una patologia rara che si caratterizza per l’accumulo anomalo di proteine, le amiloidi appunto, in diversi tessuti dell’organo. Tale accumulo finisce poi per danneggiare il funzionamento degli organi. Solitamente si definisce al singolare, ma sarebbe più giusto parlarne al plurale, visto che sono una trentina le tipologie di amiloidosi conosciute, ereditarie o meno. Secondo quanto detto dall’Osservatorio sulle malattie rare, essere sono classificate in base ai segni clinici e alle caratteristiche biochimiche della sostanza amiloide coinvolta.
Quella più frequente è detta primaria, AL, ed è legata a un’anomalia delle cellule plasmatiche del midollo osseo. Anomalia che dà il via alla sovrapproduzione di proteine chiamate catene leggere, le immunoglobuline, ovvero le proteine attivate da una risposta immunitaria. L’amiloidosi a catena leggera non è una patologia ereditaria, a differenza di altre forme, più rare, di questa malattia.
I depositi non eliminati di proteine, come detto, si accumulano in diverse zone del corpo provocando rilevanti danni. A essere colpiti da amiloidosi sono soprattutto milza, reni, cuore e tratto gastrointestinale.
L’amiloidosi può restare silente per anni, per poi mostrare i suoi sintomi, spesso di difficile lettura, poiché, essendo una patologia multisistemica, colpisce diversi organi e in modo diverso.
Tra questi sintomi ci sono, l’ingrossamento della lingua, emorragie attorno agli occhi, accumuli di liquidi negli arti o nell’addome a causa del malfunzionamento dei reni. Fino allo scompenso cardiaco, al malassorbimento intestinale con conseguente perdita di peso. Come avvenuto al celebre fotografo Oliviero Toscani che, in un’intervista al Corriere della Sera, ha raccontato di aver perso 40 chili a causa dell’amiloidosi. Che si era manifestata proprio dopo un rigonfiamento anomalo delle gambe.
La metodologia più utilizzata per la diagnosi di amiloidosi è la biopsia. Vengono prelevati campioni di grasso dall’addome, attorno all’ombelico, attraverso un ago. Oppure, da organi che si pensa possano essere colpiti dalla malattia.
Per l’amiloidosi non esistono terapie, si tenta però di farla regredire con somministrazione di colchicina (usata per la gotta) e prednisone (una forma di cortisone). Se gli organi colpiti da amiloidosi sono danneggiati irrimediabilmente si consiglia il trapianto. Nell’amiloidosi primaria si cerca di abbassare il livello di immunoglobuline anche con chemioterapia. Negli ultimi tempi si stanno sperimentando gli anticorpi monoclonali anti-CD38, ma resta un ambito ancora tutto da esplorare.