Raptus è un termine che deriva dal latino e significa rapimento. Si usa per indicare un gesto di violenza che si esprime in maniera improvvisa e non premeditata e che porta una persona a compiere azioni criminose, quasi fosse spinto da una forza superiore, rapito appunto. Il concetto è estremamente controverso a livello medico e legale.
Diciamo che il raptus non è una patologia medica specifica e spesso si utilizza la parola per semplificare situazioni violente che hanno radici più profonde e complesse.
Da un punto di vista giuridico e legale si invoca il raptus quando la persona colpevole di un determinato reato cerca delle attenuanti. Per esempio agendo in uno stato di incapacità di intendere e di volere.
Se invece affrontiamo la questione da un punto di vista psichiatrico il discorso si fa più complesso. Per quanto i medici siano giunti alla conclusione che i comportamenti violenti siano appunto frutto di questioni molto complesse, spesso si scontrano scuole di pensiero diverse sul raptus. Alcuni studiosi ritengono possibile lo scoppio immotivato e furente di violenza. Anzi, alludono a una sorta di malvagità primigenia dell’uomo destinata a esplodere quando il “tappo” di normalità si allenta o lo stress aumenta.
Altri, invece, come lo psichiatra e psicanalista Massimo Fagioli respingono queste convinzioni e rifiutano con forza il concetto stesso di raptus. Secondo il fondatore dell’analisi collettiva, la violenza non è connaturata all’essere umano, che nasce sempre sano, ma è frutto di un “malfunzionamento” psichico. Una sorta di volontà precisa e malata di annullare gli esseri umani che si sviluppa in esseri umani che hanno perduto la vitalità della nascita. E sono diventati anaffettivi.
Un ambito dove è sempre utilizzata la parola raptus è quello dei femminicidi. In un’intervista al blog Smack, in cui ha presentato il suo libro La forza delle donne, la giornalista Rai Adriana Pannitteri ha spiegato:
“Collaboro con un’associazione di psichiatri che si chiama Netforpp con cui abbiamo portato avanti dei corsi di formazione sull’importanza del linguaggio. Parlare di delitto passionale ha poco a che fare con la realtà. Le passioni sono emozioni, un delitto no. Ho sempre deprecato la parola raptus. Non ci si sveglia la mattina e si uccide. C’è un percorso interiore che purtroppo si è strutturato in tanti anni, all’interno del quale ci sono malattia e distruttività, che non nascono all’improvviso. Altrimenti vorrebbe dire che tutti noi siamo soggetti a un raptus perché siamo nervosi. Spieghiamo davvero cosa accade e facciamo attenzione a non banalizzare“.
Di raptus ha parlato Moussa Sangare, l’uomo che ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni. Rilasciando la confessione spontanea ha detto di aver ucciso tanto per farlo, in preda a un raptus.