Prima di addentrarci nella storia di Mamma Ebe va fatta una doverosa premessa: tra le dark ladies della cronaca nera italiana Ebe Giorgini (1933 – 2021) è una delle poche a non aver commesso (o commissionato) un omicidio. Nonostante questo però, la “Santona di Carpineta”, come era soprannominata dalla stampa, fondatrice di una setta parareligiosa è stata accusata di reati gravissimi ed è finita più volte in carcere per aver creato un impero che ruotava attorno al suo carisma di guaritrice in pelliccia e stimmate.
Nel 1980 Giorgini viene denunciata da un agricoltore di Lucca, parente del calciatore Marco Tardelli, che la accusa di aver plagiato i suoi tre figli, due ragazze e un giovane. Le accuse contro la donna, protetta da un muro di omertà e fanatismo, si sgonfiano e lei torna a manovrare i fili che muovono le sue numerose attività. Quattro anni dopo, il muro che protegge Giorgini inizia a mostrare qualche crepa e le nuove indagini sulla Pia Unione Opere Gesù Misericordiose (non riconosciuta dalla Chiesa) fanno luce su un meccanismo attraverso il quale la Giorgini raccoglieva attorno a sé una schiera di “suore” e “frati” ai quali imponeva castità, povertà e obbedienza assoluta. I suoi seguaci a loro volta aiutavano la santona a portare avanti diverse attività, tra cui case di riposo per anziani (che a loro volta venivano spogliati dei loro averi e costretti a vivere in condizioni indecenti).
Lunghi capelli corvini, grandi occhiali che incorniciavano un viso segnato da fitte rughe, Mamma Ebe imponeva la povertà ai suoi accoliti, ma viveva nel lusso. Nelle sue proprietà i carabinieri trovarono pellicce, gioielli, auto, un gommone da altura, ma anche ingenti quantità di psicofarmaci, per esercitare il controllo sui “pazienti” che si rivolgevano a lei per ottenere guarigioni miracolose. Le cronache dell’epoca riportano che al momento dell’arresto Giorgini fosse in procinto di acquistare uno yatch e che pasteggiasse a champagne. Una vita lussuosa, che manteneva esercitando il controllo sui suoi seguaci, anche con metodi coercitivi sadici, che prevedevano punizioni fisiche, come mangiare in ginocchio per giorni, pulire le stanze con la lingua, privazione del sonno e meccanismi di delazione.
Il regista Carlo Lizzani, che ebbe modo di conoscere la vera Giorgini mentre preparava il suo film disse: “Ricordo Mamma Ebe come una donna gentile, disponibile, perfino simpatica. Forse sono corazzato da una struttura psicologica abbastanza forte, ma non ho avvertito quel tipo di suggestione che da anni porta tante persone ad entrare nelle sue comunità”