Il primo novembre si celebra il World Vegan Day, ovvero la giornata mondiale del veganismo, istituita dalla presidente della Vegan Society, Louise Wallis, 30 anni fa. La scelta della data non è stata casuale. Poiché rappresenta un giorno di festa compreso fra Halloween e il Dia de los muertos messicano, che cade il 2 novembre (proprio come la celebrazione di defunti). Il World Vegan Day si pone come obiettivo quello di promuovere una dieta a base vegetale, ma non solo.
Essere vegani, e in questo c’è una differenza col vegetarianesimo,infatti, vuol dire considerare il rapporto tra uomo, animali e natura, sullo stesso piano. In tal senso non è solo una scelta dietetica ma di lifestyle che si basa sul rifiuto di qualsiasi attività o prodotto che preveda lo sfruttamento degli animali.
In questi anni, il veganismo è sempre stato associato alla lotta contro il riscaldamento globale, visto che per la maggior parte esso è causato dalle emissioni dei gas serra legati agli allevamenti intensivi. L’istanza climatica, dunque, è stata spesso la molla, per molte persone, per avvicinarsi a questo stile di vita. Prova ne è il grande interesse ottenuto dal documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, Food for Profit, trasmesso in prima serata anche su Rai3, all’interno di Report.
Se in Europa la questione degli allevamenti intensivi e dell’inquinamento è presa molto sul serio, la Danimarca è stato il primo paese a tassare le flatulenze delle mucche, in Italia il percorso è ancora in salita. Secondo la Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, gli allevamenti sono quasi 400mila. E quelli di tipo intensivo si trovano soprattutto in quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna.
Nelle ultime settimane, però, la comunità vegan del Vecchio Continente ha ottenuto un successo importante. La Corte di giustizia europea, infatti, ha confermato che gli Stati membri non hanno il diritto di vietare l’uso di termini generici, di solito associati ai prodotti a base di carne, per designare le proteine vegetali. Si potrà tornare a parlare, dunque, di hamburger e salsicce vegetali. Può sembrare una piccolezza, ma da un punto di vista commerciale e culturale, rappresenta una svolta epocale. Soprattutto per tutte quelle aziende che stanno investendo da tempo sul vegetale, come l’italiana Kioene, che ha convertito completamente la produzione sul cibo plant based. E che possono “sfruttare” una terminologia familiare per arrivare a più persone possibili.