Jean Purdy è stata una figura silenziosa ma indispensabile nel campo della fecondazione in vitro, un trattamento rivoluzionario per l’infertilità. Insieme al biologo Robert Edwards e al ginecologo Patrick Steptoe, Purdy ha trasformato la ricerca in una realtà, portando alla nascita della prima “bambina in provetta”, Louise Brown nel 1978. La sua figura, purtroppo spesso trascurata, ha guadagnato il meritato riconoscimento solo negli ultimi anni.
Nel 1968, all’età di 23 anni, Jean Purdy era “solo” una giovane infermiera che rispose a un annuncio per un posto da assistente di ricerca presso il laboratorio di fisiologia dell’Università di Cambridge. Qui iniziò la sua collaborazione con Robert Edwards, che stava studiando la possibilità di creare embrioni umani al di fuori del corpo. Questo progetto prese slancio con il coinvolgimento di Patrick Steptoe, il primo ad utilizzare la laparoscopia nel Regno Unito, una tecnica essenziale per raccogliere ovuli dalle ovaie.
Il loro obiettivo era sviluppare una soluzione per coppie con tube di Falloppio bloccate, tra le cause più comuni di infertilità. In un piccolo laboratorio a Kershaw’s Cottage Hospital, con attrezzature autofinanziate e spesso lavorando nel tempo libero, il team affrontò enormi sfide scientifiche, tecniche e morali. L’IVF, infatti, che allora era un campo tutto da esplorare, suscitava critiche e polemiche. Spesso i media additarono Purdy e il suo team come dei novelli Frankenstein.
Purdy fu fondamentale non solo per il suo lavoro tecnico e le sue intuizioni: preparava i terreni di coltura, gestiva il laboratorio e raccoglieva dati meticolosi. Jean era anche il volto umano del progetto e interagiva con le pazienti, offrendo loro supporto emotivo in un momento molto delicato. Grazie alla sua determinazione, la squadra superò anni di insuccessi, arrivando finalmente alla nascita di Louise Brown nel 1978 e, poco dopo, di Alastair MacDonald, il primo bambino in provetta maschio.
Nonostante il successo, il Sistema Sanitario Nazionale rifiutò di sostenere la nuova tecnica. Purdy giocò un ruolo determinante nella creazione della clinica Bourn Hall, la prima clinica IVF al mondo, inaugurata nel 1980 in un’antica dimora giacobina vicino Cambridge. Come Direttrice Tecnica, Jean contribuì a rendere il trattamento accessibile a centinaia di coppie.
Tra il 1970 e il 1985, Jean Purdy scrisse come co-autrice di 26 articoli accademici in riviste prestigiose come Nature e The Lancet. In un ambito, come quello scientifico, dove la presenza femminile non ha mai avuto la stessa rilevanza di quella maschile, Purdy era considerata un’eguale dai suoi colleghi. Durante una conferenza per il ventesimo anniversario dell’IVF, Robert Edwards dichiarò pubblicamente: “C’erano tre pionieri originali nell’IVF, non solo due“. Fu proprio Edwards, poi vincitore del premio Nobel per la medicina nel 2010, a volere che il nome di Jean fosse scritto sulla targa commemorativa apposta al di fuori di Bourn Hall.
Jean era una persona riservata, con un forte senso della fede e passioni per la musica classica e il violino. Nel film di Netflix Joy, che racconta gli avventurosi anni che portarono alla nascita di Louise Browne, si racconta che soffrisse di endometriosi. Fattore che l’avrebbe spinta ad avvicinarsi alla ginecologia. Tuttavia, di questo non si hanno notizie certe.
Nel 1985, Jean Purdy morì a soli 39 anni per melanoma maligno. Fino alla fine, rimase coinvolta nel lavoro presso Bourn Hall, dove le fu assegnata una stanza per continuare il suo contributo.
Grazie a Jean Purdy, oltre 12 milioni di bambini sono nati tramite fecondazione in vitro.