Johanne Sacrebleu è la parodia messicana di Camila Aurora di Emilia Pérez, la pellicola che ha ottenuto 13 nomination agli Oscar e ha fatto incetta di premi al Festival di Cannes e ai Golden Globe. Il cortometraggio di 28 minuti che prende in giro il film più nominato agli Oscar è diventato virale in pochi giorni. E non fa che aggiungersi alla miriade di polemiche che, in queste ore, stanno colpendo il film e soprattutto la protagonista, Karla Sofía Gascón.
Emilia Pérez (diretto dal francese Jacques Audiard) racconta la storia di un boss del cartello messicano che si rivolge a un avvocato per aiutarlo a trasformarsi in una donna. Perché ha suscitato così tante polemiche in Messico? Il film ha scatenato forti critiche per il suo scarso livello di spagnolo, per l’ampio uso di stereotipi e per la quasi assenza di attori messicani.
Camila Aurora ha così deciso di dirigere, insieme allo sceneggiatore Héctor Guillén , un cortometraggio che è una risposta non troppo velata al dilagante uso di stereotipi, secondo loro, da parte di Audiard. Un film alla Romeo & Giulietta che racconta la storia d’amore tra l’erede del più grande produttore di baguette e l’erede della più grande azienda di croissant, entrambi transgender.
Girato (stavolta sì) in Messico e con un cast interamente locale, Johanne Sacrebleu è impregnato di stereotipi francesi: baschi, camicie a righe bianche e nere, topi, mimi, moustache disegnati e fisarmoniche che fanno da sfondo musicale. Ci sono anche molte battute specifiche su Emilia Pérez, tra cui una voce fuori campo francese parlata con un accento esageratamente distorto (senza dubbio in riferimento agli accenti messicani pesantemente criticati).
Pubblicato su YouTube il 25 gennaio, ha ottenuto circa 2 milioni di visualizzazioni in meno di una settimana. La parodia, seppur molto divertente, vuole però essere una vera e propria denuncia ad una pellicola che sta accumulando un premio dopo l’altro. Una pellicola che, almeno secondo il pubblico messicano, ha trattato temi molto sensibili ed importanti in maniera superflua, togliendone quasi l’importanza.
Non sono solo gli stereotipi ad aver fatto scalpore, o il fatto che un film sul Messico sia stato girato quasi interamente a Parigi. La superficialità nel raccontare il problema della droga, le vittime che ogni anno questa guerra miete, il non aver riconosciuto il dolore di tutte le madri che perdono i propri figli e l’aver descritto il personaggio principale come l’ennesimo personaggio transgender psicopatico, sono tanti altri sassolini aggiunti alla catasta di critiche dall’opinione pubblica del paese centro americano.