Il 13 febbraio 1633 iniziò per Galileo Galilei un lungo processo in cui fu costretto dall’Inquisizione a ritrattare la sua convinzione che la Terra si muovesse intorno al Sole. Secondo la leggenda, dopo aver abiurato, avrebbe sussurrato la celebre frase “E pur si muove“, affermando con ostinazione che, indipendentemente da ciò che la Chiesa stabiliva, la Terra continuava comunque il suo moto. Ma questa storia è davvero accaduta? Le prove storiche suggeriscono che la frase sia un mito nato più di un secolo dopo la sua morte.
Galileo non poteva provare con assoluta certezza il movimento terrestre, ma le sue osservazioni astronomiche e i suoi esperimenti in meccanica lo portarono a ritenere corretto il modello eliocentrico di Copernico. Tuttavia, la Chiesa dell’epoca considerava la teoria un’invasione nel campo della teologia e lo processò per sospetto di eresia. Per evitare una condanna più grave, Galileo scelse di ritrattare pubblicamente le sue idee nel 1633. Il processo fu umiliante. Il suo libro “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” venne bandito e lui trascorse il resto della vita agli arresti domiciliari.

L’origine della frase è incerta. Il primo riferimento stampato risale al 1757, in un libro di Giuseppe Baretti, “The Italian Library”, pubblicato a Londra, più di cento anni dopo la morte dello scienziato. Baretti raccontava che, appena rilasciato, Galileo avrebbe guardato il cielo, poi la terra, e battendo il piede avrebbe pronunciato le parole “E pur si muove”. Tuttavia, non ci sono testimonianze storiche contemporanee che confermino questo episodio.
Un altro elemento che ha alimentato il mito è stato il ritrovamento di un dipinto nel 1911, acquistato dall’olandese Jules van Belle, che mostrava Galileo in prigione con la frase scritta sotto un disegno della Terra che orbita attorno al Sole. Il quadro, inizialmente attribuito al pittore del XVII secolo Bartolomé Esteban Murillo, sembrava confermare che la frase circolasse già subito dopo la morte dello scienziato. Tuttavia, successive analisi hanno rivelato che il dipinto era una copia di un’opera realizzata nel 1837 dal pittore fiammingo Romaan-Eugeen Van Maldeghem, rendendo improbabile che fosse una testimonianza autentica.
Nonostante le ricerche, il dipinto di Van Belle è scomparso nel 1936, e la sua esistenza rimane avvolta nel mistero. Nel 2007 un quadro molto simile è stato venduto all’asta, ma la casa d’aste lo ha datato al XIX secolo, confermando i sospetti sulla sua origine recente. Anche gli storici più accreditati, come Antonio Favaro e Stillman Drake, ritengono improbabile che Galileo abbia davvero pronunciato quella frase.
Tuttavia, la frase rimane simbolica e rappresenta perfettamente la sua resistenza alle imposizioni ideologiche e il valore della verità scientifica.