Glasnost è un termine russo traducibile con “trasparenza”, anche se letteralmente vuol dire “pubblicità” nel senso di “dominio pubblico”. Esso si introdusse gradualmente nell’uso comune nella seconda metà degli anni ’80, quando l’allora presidente sovietico Michail Gorbačëv ne fece il pilastro della politica che intendeva avviare nel suo Paese, ossia la perestrojka. Vediamo insieme che cosa comportava, e il modo in cui ha cambiato la storia nel giro di pochi anni.
Nel 1985 Gorbačëv divenne Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, e subito manifestò la necessità di attuare delle riforme radicali per risollevare il Paese da una grave stagnazione economica: egli chiamò la sua nuova politica perestrojka, ossia “ricostruzione”. Il primo passo da compiere verso tale ricostruzione consisteva, secondo Gorbačëv, nel combattere la forte corruzione dilagante nell’Unione e nello stesso apparato politico; consapevole che le sue riforme avrebbero incontrato la dura opposizione dei più conservatori membri del suo partito, egli decise di promuovere la massima trasparenza in ogni ambito politico e sociale, in modo da riavvicinare il popolo sovietico alle istituzioni e ricevere il suo sostegno.
Tale trasparenza (glasnost appunto) si traduceva in una maggior apertura verso il dibattito politico, la libertà di stampa, di religione e di parola, l’allentamento delle fitte maglie della censura con cui il governo soffocava qualunque critica. Si tratta insomma di un cambiamento radicale rispetto alla situazione in cui si trovava l’Unione al momento dell’insediamento di Gorbačëv, e in cui l’Unione stessa si era creata e sviluppata negli anni precedenti. Nello spirito della glasnost furono anche rilasciati prigionieri politici e dissidenti fino ad allora considerati sovversivi e pericolosi per il futuro dello Stato.

Quello che Gorbačëv non poteva prevedere era che questa ondata di riforme sortisse l’effetto contrario rispetto a quello ipotizzato: la perdita del controllo sui mass media, il crollo del culto della personalità riservato alle figure più rilevanti del partito, il maggior coinvolgimento dei cittadini alla vita politica fecero in modo che questi ultimi cominciassero a criticare aspramente il governo sovietico, sempre più consapevoli delle tante problematiche che affliggevano l’Unione da lungo tempo (tra cui inquinamento, alcolismo, povertà, alto tasso di mortalità).
Un ulteriore colpo alla perestrojka di Gorbačëv fu dato dalla catastrofe nucleare di Chernobyl, nell’aprile del 1986: eccezionalmente in quell’occasione la “macchina della trasparenza” si arrestò di colpo, con numerosi sforzi da parte del governo sovietico di mantenere segreta la notizia e in particolare la portata dei danni causati, che avrebbero avuto conseguenze sull’Europa intera.
Con il passare degli anni, inoltre, la maggior libertà di parola consentì la nascita e lo sviluppo di movimenti nazionalistici all’interno delle repubbliche costituenti, in cui cresceva il dissenso nei confronti di un governo centrale considerato sempre più debole: da lì allo sviluppo di vere e proprie correnti indipendentiste il passo era breve, soprattutto in Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina, Georgia e Azerbaigian. Questo contribuì ad aumentare il dissenso anche tra i conservatori del Partito, complice anche l’incapacità di Gorbačëv di reagire in un modo che essi avrebbero considerato consono, ossia con una dura repressione.
Quando infine le reazioni militari violente cominciarono, come l’attacco alla Torre della Televisione di Vilnius che provocò la morte di 14 indipendentisti lituani, il risultato fu solo un odio ancora più forte nei confronti del potere centrale. Il 25 dicembre del 1991 Gorbačëv rassegnò le dimissioni, poche settimane dopo la dissoluzione ufficiale dell’Unione Sovietica.