L’esplorazione umana di Marte si avvicina, ma il corpo umano non è progettato per le condizioni estreme dello spazio profondo. Tra gli organi più vulnerabili ai rischi del viaggio ci sono i reni. Studi recenti rivelano che la microgravità e le radiazioni cosmiche potrebbero danneggiarli in modo irreversibile, mettendo a rischio non solo la missione, ma anche la vita degli astronauti al ritorno sulla Terra. Se non si troveranno soluzioni efficaci, i futuri esploratori marziani potrebbero dover affrontare gravi complicazioni renali, con la necessità di trattamenti medici in pieno volo.
Le missioni spaziali oltre l’orbita terrestre espongono il corpo umano a condizioni difficili, tra cui la microgravità e la radiazione cosmica galattica (GCR). Finora, solo 24 persone – gli astronauti delle missioni Apollo – hanno affrontato la piena esposizione a questa radiazione, ma per un periodo limitato a pochi giorni. Nessun essere umano ha mai vissuto nello spazio profondo per mesi o anni, quindi le conseguenze a lungo termine restano in parte sconosciute. Tuttavia, nuovi studi guidati dal London Tubular Centre, presso il Dipartimento di Medicina Renale della UCL, hanno analizzato dati provenienti da 20 diverse ricerche, incluse oltre 40 missioni sulla Stazione Spaziale Internazionale e simulazioni su roditori. I risultati suggeriscono che i reni siano tra gli organi più a rischio durante un viaggio interplanetario.

In condizioni di microgravità, il funzionamento dei reni cambia. I tubuli renali, strutture responsabili dell’equilibrio dei sali e dei liquidi nel corpo, si restringono già dopo un solo mese di esposizione a queste condizioni. Questo altera la regolazione di minerali come il calcio e il sodio, aumentando la probabilità di formazione di calcoli renali. Finora si riteneva che il problema dei calcoli fosse dovuto principalmente alla perdita di massa ossea – tipica degli astronauti in microgravità – che rilascia calcio in eccesso nell’urina. Tuttavia, nuove ricerche dimostrano che il fenomeno potrebbe essere un problema primario dei reni stessi e non solo una conseguenza della demineralizzazione ossea.
Oltre alla microgravità, la radiazione cosmica galattica rappresenta un altro pericolo cruciale. Questa forma di radiazione non può essere completamente bloccata dalle protezioni attuali, e studi su roditori esposti a dosi simulate equivalenti a un viaggio di andata e ritorno su Marte (circa 2,5 anni) hanno mostrato danni renali irreversibili. I reni trattano i sali in modo anomalo, e il loro deterioramento potrebbe portare a insufficienza renale, una condizione critica per la sopravvivenza degli astronauti in missione.
Il problema principale è che i reni tendono a mostrare segni di danno in fase avanzata, quando ormai è troppo tardi per intervenire efficacemente. Se non si trovano contromisure adeguate, gli astronauti potrebbero aver bisogno di dialisi durante il viaggio o subito dopo l’arrivo su Marte. Ciò rappresenterebbe una sfida logistica ed etica per le agenzie spaziali, considerando che attualmente non esistono strutture mediche avanzate nello spazio.
Le agenzie spaziali sanno da tempo che le missioni oltre la protezione del campo magnetico terrestre comportano rischi per il cuore, le ossa e gli occhi. Ora, l’attenzione si sposta sui reni, evidenziando l’urgenza di sviluppare soluzioni protettive. I ricercatori suggeriscono che, oltre a migliorare la schermatura dai raggi cosmici, potrebbero essere sviluppate nuove tecnologie o farmaci per proteggere i reni durante le missioni spaziali. Questi studi potrebbero anche avere ricadute positive sulla Terra, ad esempio aiutando i pazienti oncologici a tollerare meglio le alte dosi di radioterapia.