Incredibile a dirsi, ma una delle organizzazioni per i diritti umani più celebri al mondo è nata dopo un brindisi! Sembra assurdo, ma è proprio così. Siamo nel 1961 e Peter Benenson, un avvocato britannico, mentre è dedito a bersi una tazza di caffè da un caffè londinese legge sul giornale una notizia che lo fa saltare sulla sedia. Due studenti portoghesi erano stati arrestati solo perché avevano fatto un brindisi per la libertà in un bar. Il risultato fu la prigione immediata. Per questo Peter non riesce a farsene una ragione.
L’avvocato britannico prende allora carta e penna per scrivere un articolo di protesta che finisce addirittura su un noto giornale, The Observer. Il titolo è emblematico: “The forgotten prisoners”, ovvero i “prigionieri dimenticati”. In quell’articolo Peter lancia un rivoluzionario appello alla popolazione: scriviamo lettere, facciamoci sentire, diamo voce a chi è stato messo a tacere ingiustamente, aiutiamo chi è sottomesso e non può far valere i suoi diritti.

L’idea di Benenson prende piede in un attimo. Gente da tutto il mondo comincia a unirsi in questa campagna di protesta e in pochissimo tempo nasce ufficialmente l’associazione Amnesty International, esattamente il 28 maggio del 1961. Il nome si collega alla parola amnistia, cioè cancellazione di una pena inflitta. L’obiettivo era e rimane ancora oggi difendere i diritti umani, ovunque nel mondo, senza guardare alla provenienza politica o religiosa. Nacque anche il logo che tutti conosciamo, una candela circondata da filo spinato, ispirata ad un proverbio cinese “è meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”.
Da quel momento fatidico Amnesty ne ha fatta di strada! Nel 1977 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace per il suo lavoro coraggioso per la difesa dei diritti umani, ha aiutato migliaia di persone ingiustamente detenute e continua ad essere una spina nel fianco per chi con violenza calpesta la libertà degli altri. Insomma, tutto è partito da un gesto semplicissimo tra una pausa caffè e una lettura di un giornale. Ma l’indignarsi per una ingiustizia non è mai banale se è seguito dalla decisione di voler fare qualcosa. E questo ci ricorda che anche una singola voce può fare la differenza e dare vita ad un cambiamento enorme!