La prima ascensione ufficiale alla vetta del Monte Everest, la montagna più alta del pianeta con i suoi 8.848,86 metri di altitudine, avvenne il 29 maggio 1953. A raggiungerla furono il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay, durante una spedizione britannica guidata dal colonnello John Hunt. L’impresa segnò un traguardo storico per l’alpinismo, ma anche per la geopolitica.
La spedizione del 1953 fu organizzata con rigore militare. Oltre 400 persone presero parte all’impresa, tra cui 362 portatori, 20 guide sherpa e tonnellate di attrezzature. Dopo settimane di acclimatazione e preparazione, Hillary e Tenzing partirono dall’ultimo campo (Campo IX) a circa 8.500 metri di altitudine. Raggiunsero la vetta alle 11:30 del mattino. Hillary scattò la celebre foto di Tenzing con la bandiera britannica sulla cima, ma non esiste una fotografia dell’alpinista neozelandese in vetta, a dimostrazione della modestia dell’impresa condivisa.

L’ascesa del 1953 ebbe anche un forte impatto simbolico. Avvenne infatti pochi giorni prima dell’incoronazione della regina Elisabetta II e fu presentata dalla stampa britannica come un successo imperiale. Tuttavia, il ruolo di Tenzing Norgay, cittadino indiano di origine nepalese, sottolineò anche il contributo delle popolazioni locali alle grandi spedizioni, spesso invisibilizzate dalla narrativa occidentale.
Prima di loro, nel 1924, George Mallory e Andrew Irvine tentarono l’ascensione ma scomparvero misteriosamente. Il corpo di Mallory fu ritrovato solo nel 1999, e ancora oggi non si sa con certezza se i due raggiunsero la vetta prima di morire. Hillary, interrogato sul tema, dichiarò sempre che “la cima del mondo non si raggiunge se non si torna vivi per raccontarlo”.
Edmund Hillary fu insignito del titolo di Sir e si dedicò poi ad attività umanitarie in Nepal, mentre Tenzing Norgay divenne un’icona nazionale.