L’ameba mangia-cervello è arrivato anche in Italia? Non proprio. L’unico caso documentato nel nostro Paese, infatti, risale al 2004 ed è avvenuto a Este, quando un bambino di 9 anni lo contrasse dopo aver nuotato in un laghetto che prendeva acqua dal Po, nel corso di un’estate particolarmente calda. Per il resto, da quel che si sa, non sarebbero avvenuti altri casi nel Belpaese.
Come spieghiamo anche nel nostro articolo sull’ameba mangia cervello, i primi segni di infezione da Naegleria fowleri possono includere mal di testa, nausea e vomito. La malattia progredisce rapidamente, rendendo difficile la diagnosi e la maggior parte delle persone infette muore entro una o due settimane. L’ameba entra nel corpo attraverso il naso, può migrare nel cervello lungo il nervo olfattivo e da qui inizia a distruggere il tessuto cerebrale. Il nome tecnico dell’infezione è meningoencefalite amebica primaria.
Il primo caso in Europa risale al 1998 in Repubblica Ceca. “Il patogeno è letale ma le infezioni sono molto rare. Per quanto riguarda l’Italia il pericolo non esiste, l’influenza miete molte più vittime” ha spiegato su Repubblica Giovanni Maga, virologo dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia. “Il balamuthia (quello del caso della donna morta a Seattle) è un protozoo teoricamente presente in tutte le zone temperate ma non è stato riportato nessun caso in Italia. È stato scoperto solo 30 anni fa, non se ne sa ancora molto, ma sappiamo che attacca spesso le scimmie e raramente gli umani”.
Il balamuthia vive in laghi, fiumi e stagni e un modo per infettarsi potrebbe essere che l’acqua dolce infetta entri a contatto con il nostro organismo ad esempio per ingestione: Giovanni Maga ha proseguito: “Per sfociare in un’infezione, l’acqua che ingeriamo deve contenere un numero davvero alto di protozoi”. Insomma, per il momento non sembra che l’Italia possa correre rischi.