L’omicidio di Livio Musco, avvenuto a Gioia Tauro la sera del 23 marzo 2013, ha un movente economico, per il quale fu accusato e arrestato l’agente immobiliare Teodoro Mazzaferro, legato alla ‘ndrangheta, con il coinvolgimento del fratello e del nipote del barone. Dopo che l’uomo fu trovato sanguinante ma ancora vivo nella grande casa di famiglia dal fratello Giuseppe e dal nipote Berdj, infatti, le indagini seguirono delle strade poco realistiche, come quella del delitto passionale, per poi approdare alle motivazioni di stampo economico.
A destare, sospetto furono i forti contrasti all’interno della famiglia in relazione alla gestione del grande patrimonio immobiliare che costituiva oggetto di alcuni lasciti ereditari indivisi. Un patrimonio incredibile che, oltre a latifondi nell’agro del comune di Gioia Tauro, annovera anche numerose ville e residenze. Tra queste un appartamento in zona Parioli a Roma di oltre 500 mq dove ha vissuto il Generale Ettore Musco, padre della vittima.
Così, dopo aver concluso le indagini preliminari senza riuscire a trovare mai l’arma del delitto, il pubblico ministero chiese il rinvio a giudizio di tre indagati: Teodoro Mazzaferro, Ruggiero Musco e Berdj Domenico Musco. In particolare gli ultimi due sono proprio il fratello e nipote del barone.
Teodoro Mazzaferro, inoltre, è accusato di essere l’autore materiale dell’omicidio a causa di un prestito chiesto da Livio Musco e mai restituito. Prima dell’udienza preliminare, però, l’uomo muore per cause naturali e, per questo motivo, l’unico imputato rimane il nipote Berdj Domenico. Ruggiero Musco, infatti, chiede il rito abbreviato e viene assolto.
Al termine di tutto il procedimento, però, il nipote viene considerato innocente con formula piena, non essendoci delle prove evidenti del suo coinvolgimento nel delitto. Anche le tracce di un eventuale sparo trovate su di lui sono risultate esigue ed imputabili ai primi soccorsi prestati allo zio trovato morente nel suo studio.