Immaginate una donna nata nel 1907 che con caparbietà riuscì a diventare modella per Vogue, artista e musa di Man Ray, fotografa surrealista, fotoreporter di guerra ed infine una rinomata chef. Lee Miller ha compiuto l’impresa di rompere le barriere dell’impossibile, scrivendo una incredibile storia per la propria vita, vivendone mille in una e rendendola leggendaria. La sua luce ha incantato perfino Kate Winslet che, ammirata profondamente dalla personalità della Miller, ha deciso di calarsi nelle sue vesti ed interpretare il ruolo da protagonista nel film biopic Lee Miller diretto da Ellen Kuras in uscita in Italia da giovedì 13 marzo 2025.

La piccola Lee nacque in un contesto benestante a Poughkeepsie nella contea newyorkese. La sua piccola luce animata di vibrante curiosità conobbe purtroppo l’oscurità già durante l’infanzia. Subì infatti una atroce violenza sessuale da un amico di famiglia a soli 7 anni e successivamente le fu diagnosticata la gonorrea, malattia che la fece sentire isolata essendo molto stigmatizzata all’epoca. A questo si aggiunse l’ambiguo rapporto col padre, che da fotografo dilettante utilizzò Lee come modella per i suoi studi sul nudo. Dopo aver trascorso una adolescenza tra solitudine e depressione, decise che era giunto il tempo di tornare a risplendere fuori da quel contesto soffocante.
Nel 1927 si trasferì nella grande mela newyorkese e, traboccante di entusiasmo, tentò di riscrivere le pagine della sua vita immergendosi nella carriera di modella e attrice. Leggenda vuole che fu salvata miracolosamente dal mitico Condé Nast, editore di Vogue, che rimase folgorato dalla bellezza e soprattutto dal carisma di questa ragazza. Capello corto, portamento fiero, parlantina diretta, attitudine a rompere gli schemi che le stavano stretti, Lee Miller non passava di certo in osservato.
In breve tempo riuscì a conquistare la copertina di Vogue America e diventò una delle modelle più richieste tra i massimi fotografi di moda dell’epoca. Nel 1929 fu usata una sua fotografia come immagine per la pubblicità della marca di assorbenti Kotex che suscitò un certo scandalo, essendo la prima volta che venne utilizzata una fotografia femminile per accompagnare questi prodotti di igiene. Snobbata da chi prima la osannava, decise di dare un taglio con la moda per ricominciare un nuovo capitolo altrove.

Parigi, 1929. Il sogno della fotografia tornò a bussare alle porte del suo animo con elettrizzante impeto e, dopo aver passato anni da modella facendosi fotografare, ora il suo obiettivo era porsi come osservatrice diretta sul mondo, colmando la sua sete di vivace crescita intellettuale. Sicura della sua luce, si presentò con audacia alla porta dell’iconico e già affermato artista surrealista Man Ray e si offrì come sua apprendista personale. Il suo carisma fece breccia, divenendo prima allieva stretta e in breve tempo anche amante, dando vita ad una unione creativa feconda, in cui sperimentarono la nuova tecnica della solarizzazione e da cui nacquero ritratti fotografici iconici tra cui Les deux yeux, le nez et les larmes ritenuto da molti uno degli scatti cardine del movimento surrealista fotografico.

Nel 1932 decise di lasciare Man Ray per tornare a New York dove aprì il proprio studio fotografico e dove fu accolta già all’epoca come rinomata artista surrealista. Nel 1934 conobbe Aziz Eloui Bey, facoltoso uomo d’affari egiziano, con cui convolò a nozze. Ma Lee sentiva di non essere nel posto giusto e, dopo tre anni al Cairo, ruppe le catene del matrimonio per tornare con vigore a Parigi dove incontrò il fotografo surrealista Roland Penrose che seguì in Inghilterra e infine sposò.
Lee non avrebbe pensato che il primo settembre del 1939 avrebbe cambiato la sua vita e quella di milioni di persone in tutto il mondo. Sfidando ogni convenzione sociale dell’epoca che non concepiva l’idea di donne fotogiornaliste, si dedicò anima e corpo come corrispondente di guerra per Vogue e fino al 1945 documentò numerosi episodi storici: lo sbarco degli alleati in Normandia, la liberazione di Parigi, ma soprattutto la documentazione dell’orrore dei campi di concentramento nazisti di Buchenwald e di Dachau in cui fece conoscere al mondo gli orrori compiuti dalle menti dei nazisti in alcune fotografie che smossero l’opinione pubblica a non dimenticare attraverso il ricordo visivo.

Nel 1942 conobbe David Scherman, anch’egli fotoreporter, divenne amico e amante negli anni duri del conflitto, affascinato dall’unicità della collega. Insieme diedero vita ad una fotografia emblematica, scattata nell’appartamento di Adolf Hitler a Monaco di Baviera dopo la caduta della città nel 1945, in cui si vede Lee Miller in una vasca da bagno intenta a lavarsi e con accanto degli stivali logori e sporchi di fango, simboli di una guerra giunta alla fine.
Negli anni a seguire volle continuare a documentare le conseguenze dirette del conflitto, ritraendo bambini e le fasce più deboli della società con occhio ricco di vicinanza e umanità. Purtroppo le numerose ferite psicologiche accusate durante la guerra la fecero precipitare in un grave disturbo depressivo, oggi conosciuto come disturbo post traumatico da stress. Iniziò ad arginare i sintomi attraverso l’alcool, in anni difficili che però le donarono anche la gioia della nascita del figlio Antony avuto da Penrose. Durante gli anni ’50 si calò in una nuova avventura da chef gourmet e continuando la sua attività da fotografa ritrattista. Ahimè la depressione non la lasciò mai del tutto, come silenziosa compagna le stette accanto fino ai suoi ultimi respiri. Morì di cancro ai polmoni nel 1977, a 70 anni.
“Voglio scattare una foto piuttosto che essere ripresa”. La frase di Lee Miller risuona e fa breccia nei cuori, portando alta una solida bandiera femminista in cui nessun ruolo è rigido e prestabilito e diviene simbolo di libertà ed uguaglianza. Un faro di caparbio coraggio che continuerà a ispirare nel qui ed ora e a future generazioni di donne.