L’espressione avere il sangue blu, associata a persone appartenenti alla nobiltà, non ha ovviamente una verità biologica. Si tratta di un modo di dire che risale alla Spagna medievale. Almeno questo sostiene lo storico inglese Robert Lacey. Tutto è riconducibile alle rigide differenziazioni sociali che separavano i vari strati della società. I cima alla piramide si trovavano i nobili, poi il clero, poi popolo di città grasso e minuto e, infine, i servi della gleba, poverissimi e costretti a coltivare terreni che non gli appartenevano. Rispetto a loro, gli aristocratici erano pallidi, poiché non lavoravano nei campi. Le loro vene, quindi, erano perfettamente visibili, con il loro colorito bluastro. Da qui, la frase avere il sangue blu.
Un’espressione molto peculiare che si associa anche ad altre raffigurazioni dedicate al sangue, nate in Spagna, come il concetto di “limpieza de sangre” (purezza di sangue), che indicava gruppi familiari puri, senza alcuna mescolanza con etnie non cristiane (Mori, ebrei). Il sangue blu sarebbe anche un sangue puro.
In quegli anni, poi, tra i nobili era particolarmente diffusa una grave malattia ematica, l’emofilia, detta malattia del re. Una patologia ereditaria che rendeva difficile la coagulazione del sangue, amplificata da un ricambio genetico non adeguato, visto che si favorivano matrimoni tra consanguinei, voluti proprio per mantenere la purezza di sangue. Poiché l’emofilia provoca lividi e gonfiori bluastri, spesso si lega all’idea del sangue blu.
Oggi la frase sangue blu si estende non solo ai “veri” nobili, ma anche a tutte quelle persone che si comportano da elitari, anti proletarie.