Il 9 maggio 1978, dopo una telefonata che ne annunciava la morte, veniva ritrovato il corpo senza vita dell’Onorevole Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di sequestro in una casa di via Montalcini 8 a Roma. A distanza di 47 anni da questa orribile vicenda, ripercorriamo i luoghi in cui essa si è sviluppata o che sono stati determinanti per il suo tragico epilogo, e scopriamo se il suo ricordo sia ancora vivo presso chi li abita.
Partiamo proprio dalla casa di via Montalcini, primo piano, interno 1, in cui Moro trascorse i suoi quasi 2 mesi di reclusione forzata. All’epoca l’abitazione era di proprietà della brigatista Anna Laura Braghetti, che l’aveva acquistata l’anno prima e che, dopo aver partecipato al sequestro, la vendette nel 1979 a una famiglia che abitava al quarto piano. Il nuovo proprietario ignorava che quella casa fosse stata teatro di un atroce delitto, e continuò a non sapere nulla fino a dopo l’arresto della Braghetti.
Nel 2008 furono effettuati dei lavori di ristrutturazione all’appartamento, cancellando il segno sul parquet che delimitava la cella improvvisata di Moro. Quella che nel 1978 era “la Prigione del Popolo” è oggi abitata da una nuova famiglia, e quella stessa cella è diventata la cameretta di due bambine. Nonostante ogni traccia visibile dell’accaduto sia stata rimossa, il proprietario ha garantito alla famiglia Moro la possibilità di far visita alla casa in qualsiasi momento.
Ben diverso è il discorso per via Gradoli, sede di un’altra base delle BR e ora chiusa da una sbarra per scoraggiare giornalisti e semplici curiosi dall’attardarsi nei pressi di quella zona. Si tratta della casa in cui abitava un altro brigatista, Mario Moretti, che qui preparava i comunicati da portare in una tipografia del quartiere Monteverde: un appartamento arrivato all’attenzione delle forze dell’ordine solo per una serie di coincidenze, ancora in parte avvolte nel mistero; adesso è disabitato, in attesa che si riescano a rintracciare gli eredi dell’ultimo inquilino. Tutti gli altri inquilini del palazzo sono arrivati molto dopo l’omicidio di Moro, e sembrano non vedere di buon grado l’idea di ripercorrere quella vicenda.
Lo stesso si può dire per la base di via Gabriello Chiabrera 76, abitata da Valerio Morucci e Adriana Faranda: è da qui che Morucci, insieme all’altro brigatista Franco Bonisoli, si diressero in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 per rapire Aldo Moro e far strage degli uomini della sua scorta; ed è sempre qui che, mesi dopo, essi pianificarono la sua esecuzione e il recupero del suo corpo, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Eppure, anche in questo caso, il ricordo è vago e quasi scomodo.