Nel cuore gotico di Milano, sotto le guglie bianche del Duomo, Napoleone Bonaparte compie uno dei gesti più potenti e simbolici della sua carriera politica. È il 26 maggio 1805 quando, durante la cerimonia d’incoronazione a Re d’Italia, afferra la Corona Ferrea con le proprie mani e se la pone sul capo, pronunciando la celebre frase: “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”.
Quell’atto non fu solo un’ostentazione di potere: fu una dichiarazione ideologica. Dopo essersi fatto incoronare Imperatore dei Francesi a Parigi nel 1804, con un gesto altrettanto eclatante, allora tolse la corona dalle mani del Papa e se la mise da solo, Bonaparte conferma anche in Italia la sua volontà di essere padrone del proprio destino. Nessuna autorità superiore, neanche quella ecclesiastica, può legittimarlo più di se stesso.

Oltre a questo, poi, bisogna considerare anche il significato della Corona Ferrea. Questa, infatti, è un simbolo del potere regale longobardo e poi imperiale, ma anche un oggetto carico di storia e sacralità. Secondo la tradizione, infatti, al suo interno sarebbe contenuto un chiodo della croce di Cristo. Usata per incoronare Carlo Magno e altri sovrani del Sacro Romano Impero, era destinata a conferire una solennità ancestrale all’evento. E Napoleone, da abile stratega della comunicazione politica, conosce perfettamente questo particolare.
Con questa frase passata alla storia, dunque, afferma l’origine divina del suo potere e ne sancisce l’inviolabilità. In sostanza è una sfida aperta a chiunque voglia contrastarlo, ma anche un messaggio preciso: il suo dominio non è un accidente della storia, bensì una missione. Non a caso, la frase diventa anche il motto dell’Ordine della Corona Ferrea, onorificenza istituita dallo stesso Bonaparte poco dopo l’incoronazione.
Nel tempo diversi storici e studiosi hanno ampiamente analizzato quel momento. Jean Tulard, tra i massimi esperti di Napoleone, ad esempio, sottolinea come l’auto incoronazione e l’uso di formule solenni siano state parte di una precisa strategia per costruire un culto della personalità. In sostanza, non bastava governare ma occorreva apparire invincibili, legittimati da Dio e dalla storia.
Eppure, nonostante le sue ambizioni divine, anche il regno d’Italia di Napoleone dura poco, appena dieci anni. Ma quella frase, breve, scolpita e potente, resta incastonata nella storia come un simbolo del potere assoluto. E di quanto, in politica, le parole possano valere quanto le azioni.