Ricorre proprio oggi il 35esimo anniversario della tragica morte di Simonetta Cesaroni, una giovane romana il cui nome è inevitabilmente legato a uno dei misteri più intricati della cronaca italiana. Simonetta non era però solo una vittima, né solo il cuore di un cold case che ancora oggi fa discutere: era una ragazza di vent’anni, piena di sogni, con una vita semplice ma ricca di speranze spezzata troppo presto in un ufficio di via Carlo Poma, a Roma. Vi raccontiamo qui chi era davvero, al di là di indagini e speculazioni.
Simonetta Cesaroni nacque a Roma il 5 novembre 1969, in una famiglia modesta e unita. Cresciuta nel quartiere popolare di Don Bosco, era la seconda di 2 figlie e legata da uno strettissimo rapporto con la sorella maggiore Paola. Suo padre Claudio era tranviere presso l’A.Co.Tra.L., sua madre Anna casalinga. Simonetta era descritta come una ragazza solare, riservata ma gentile, con un sorriso che metteva a proprio agio chi la conosceva. Amava la musica, le serate con gli amici e sognava un futuro stabile, forse anche una famiglia tutta sua.
A scuola Simonetta non era una studentessa modello, ma si impegnava. Dopo il diploma in ragioneria iniziò a cercare lavoro per contribuire al bilancio familiare. La sua vita era quella di tante giovani donne della Roma degli anni ’80: un mix di responsabilità e desideri, tra il bisogno di indipendenza e la voglia di godersi la giovinezza. Aveva anche un fidanzato, Raniero Busco, di 4 anni più grande e originario del quartiere di Morena.

Nel 1990, a soli vent’anni, Simonetta trovò lavoro come segretaria presso lo studio commerciale Reli SaS. L’incarico era suddiviso tra la sede dell’azienda in zona Casilina e un ufficio al terzo piano di via Carlo Poma, nel quartiere Prati, sede dell’A.I.G. (Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù). Non era il lavoro dei suoi sogni, ma un punto di partenza da cui costruirsi un futuro. I colleghi la ricordano come puntuale e precisa, sempre pronta a dare una mano, anche se il suo contratto era a tempo determinato. Nessuno poteva immaginare che quell’ufficio, potesse diventare teatro di una tragedia.
Il 7 agosto 1990, Simonetta uscì di casa per andare al lavoro, come ogni giorno. Aveva promesso alla sorella di rientrare presto per cena, ma quella sera non tornò. Paola avvisò allora il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi, e insieme si recarono all’ufficio di via Poma: proprio lì, non lontano dalla sua scrivania, la trovarono senza vita, vittima di un brutale omicidio. L’autopsia rivelò che era stata colpita con 29 coltellate, un atto di una violenza inaudita che lasciò attoniti familiari, amici e l’intera città.
Simonetta non aveva nemici, né frequentava ambienti pericolosi: era una ragazza normale, con una vita ordinata e sogni ancora da realizzare. La sua morte, avvenuta in un contesto apparentemente sicuro, trasformò il caso in un enigma che ancora oggi resiste. Chi poteva volerle tanto male? E perché in un ufficio, in pieno giorno, senza segni di effrazione? La morte di Simonetta lasciò un vuoto incolmabile, soprattutto per la sorella Paola, che da quel giorno ha dedicato la sua vita a cercare risposte, rifiutando di lasciare che il nome di Simonetta si perda nel tempo.