77 anni fa, il 18 aprile 1948, gli italiani si riversarono ai seggi per un appuntamento con la storia: per la prima volta dopo l’entrata in vigore della Costituzione si tenevano infatti le elezioni politiche della neonata Repubblica, e per la prima volta anche le donne potevano votare per scegliere i loro rappresentanti in Parlamento. Ma chi conquistò la maggioranza dei voti? E cosa significò quel voto in un’Italia appena uscita dalla guerra?
L’Italia del 1948 risentiva ancora fortemente degli effetti della Seconda Guerra Mondiale, che aveva lasciato cicatrici profonde sulla popolazione. Il mondo si stava dividendo in due blocchi: da una parte gli Stati Uniti, con il loro Piano Marshall e la promessa di ricostruzione, dall’altra l’Unione Sovietica, con il suo modello comunista. In questo clima di tensione, il 92% degli italiani – quasi 27 milioni di persone – si presentò alle urne. Non era solo una questione di governo: in gioco c’era l’identità politica del Paese.
A contendersi la vittoria erano due forze principali: da un lato la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, simbolo di un’Italia cattolica e filo-occidentale; dall’altro il Fronte Democratico Popolare, un’alleanza di sinistra guidata dal comunista Palmiro Togliatti e dal socialista Pietro Nenni, che guardava con simpatia al modello sovietico. I manifesti elettorali invadevano le città, gli slogan risuonavano nelle piazze, e la Chiesa si mobilitava con comitati civici per spingere il voto verso la DC. Celebre la frase di Giovannino Guareschi: “Nel segreto dell’urna, Dio ti vede, Stalin no”.

Il responso delle urne fu netto: la Democrazia Cristiana ottenne il 48,5% dei voti, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. Un risultato schiacciante, che consacrò De Gasperi come leader di un’Italia fermamente decisa a rimanere nel blocco occidentale (e a beneficiare degli aiuti economici del Piano Marshall, che gli Stati Uniti non avrebbero concesso in caso di vittoria comunista). Il Fronte Democratico Popolare, nonostante un rispettabile 31%, rimase all’opposizione, segnando l’inizio di una lunga stagione di egemonia democristiana destinata a durare fino al 1994. Le donne, al loro primo voto politico dopo il referendum del 1946, furono protagoniste di questa svolta: in molte si recarono ai seggi con orgoglio, alcune persino in barella, pur di partecipare a un evento di portata epocale.
Per le donne, il 1948 fu infatti un momento di emancipazione storica: fino a pochi anni prima, il loro ruolo era stato relegato alla sfera domestica, con il fascismo che le celebrava come “regine della casa”. Ma la Resistenza le aveva trasformate in vere e proprie eroine: le staffette, le informatrici, le combattenti partigiane avevano dimostrato che le donne erano pronte non solo a rischiare la vita per il proprio Paese, ma anche a costruirne il futuro. Il decreto del 10 marzo 1946 aveva aperto la strada, consentendo alle donne over 25 di votare ed essere elette nelle elezioni amministrative postbelliche; il referendum del 2 giugno, che sanciva la nascita della Repubblica, vide le donne votare per la prima volta in un’elezione nazionale. Nel 1948 quel diritto si consolidò, e il loro voto contribuì a plasmare l’Italia repubblicana.