Nel cuore della Calabria, a circa 45 chilometri da Vibo Valentia, sorge la Certosa di Serra San Bruno, un monastero fondato nel 1101 da San Bruno di Colonia. Questo luogo di silenzio e preghiera è stato al centro di una leggenda metropolitana che, per decenni, ha affascinato curiosi e studiosi: la storia di un presunto pilota dell’aereo che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, pentito e rifugiatosi in clausura. Ma come nacque questa fake news e perché ha resistito così a lungo? Il 6 agosto 1945, il bombardiere B-29 Enola Gay, guidato dal colonnello Paul Tibbets, sganciò Little Boy su Hiroshima, causando oltre 200.000 morti, tra vittime immediate ed effetti delle radiazioni.
Tre giorni dopo, un altro B-29, Bockscar, colpì Nagasaki con Fat Man. Questi eventi, culminati nel Progetto Manhattan, posero fine alla Seconda Guerra Mondiale con la resa del Giappone il 15 agosto 1945. La devastazione fu tale da segnare la coscienza collettiva, alimentando storie di rimorso e redenzione. Negli anni ’60, una voce diffusa dallo scrittore calabrese Sharo Gambino suggerì che un pilota coinvolto nel bombardamento di Hiroshima si fosse ritirato nella Certosa di Serra San Bruno, sopraffatto dal senso di colpa. Nel 1962, un servizio Rai amplificò la notizia, attirando giornalisti e curiosi.

I monaci, dediti a una vita di rigorosa clausura, furono costretti a esporre un cartello: “Nella Certosa non c’è il pilota di Hiroshima. Non disturbate la quiete del convento“. Le indagini successive hanno chiarito che né Tibbets, che difese la sua azione come necessaria, né il copilota Robert Lewis, morto nel 1983 senza mai entrare in monastero, si ritirarono in Calabria.
La verità emerse da un necrologio della Diocesi di Spokane. Padre Tony Lehmann, ex soldato statunitense, visitò Hiroshima dopo la guerra e, sconvolto dalla devastazione, divenne certosino, vivendo per un periodo in Calabria. Non fu mai un pilota, ma un testimone degli orrori nucleari. La sua storia, confusa con quella di un pilota pentito, alimentò la leggenda.