Il 30 aprile 1975, con la caduta di Saigon e l’ingresso trionfale delle truppe nordvietnamite nella capitale del Vietnam del Sud, si chiudeva una delle guerre più controverse e devastanti della storia moderna: la Guerra del Vietnam, durata ufficialmente dal 1955 al 1975, che non fu solo un conflitto armato in un angolo remoto del Sud-est asiatico ma anche un evento che scosse le fondamenta della società americana, ridefinendo il suo ruolo globale, la sua politica interna e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Vediamo insieme perché.
La guerra del Vietnam non fu una guerra tradizionale: combattuta senza una dichiarazione formale, essa vide gli Stati Uniti sostenere il governo autoritario del Vietnam del Sud contro le forze comuniste del Vietnam del Nord e i guerriglieri Viet Cong, appoggiati da Cina e Unione Sovietica. Iniziata con un’escalation graduale – dai consiglieri militari degli anni ’50 ai 550.000 soldati americani schierati nel 1969 – la guerra si trasformò per gli USA in un pantano militare e politico. Nonostante la loro schiacciante superiorità tecnologica, essi non riuscirono infatti a piegare un nemico tenace, motivato da un mix di nazionalismo e ideologia comunista.
Ma il vero campo di battaglia fu anche interno, con una serie di proteste senza precedenti accese in tutti gli Stati Uniti: nei campus universitari migliaia di giovani bruciavano le cartoline di leva, rifiutandosi di combattere in un conflitto che molti giudicavano immorale o privo di senso. Il 4 maggio 1970 la violenta repressione di una protesta alla Kent State University, con 4 studenti uccisi dalla Guardia Nazionale, divenne il simbolo di una nazione lacerata. La “maggioranza silenziosa” invocata dal presidente Nixon, che appoggiava la guerra per patriottismo o paura del comunismo, si scontrava con un movimento pacifista sempre più forte, alimentato da immagini strazianti come quelle del massacro di My Lai, in cui i soldati americani uccisero 504 civili indifesi.

La guerra del Vietnam segnò la prima vera sconfitta politico-militare degli Stati Uniti, e la caduta di Saigon, con le immagini degli elicotteri che evacuavano in fretta diplomatici e civili americani, fu un’umiliazione a livello globale. La teoria del domino – che prevedeva il crollo delle nazioni del Sud-est asiatico sotto il comunismo in caso di sconfitta – non si realizzò pienamente, ma il prestigio degli Stati Uniti come superpotenza ne uscì intaccato. La guerra costò la vita a oltre 58.000 soldati americani e a milioni di vietnamiti tra combattenti e civili, lasciando cicatrici profonde su entrambe le sponde dell’oceano.
E a livello interno, il conflitto erose la fiducia nelle istituzioni: i Pentagon Papers, pubblicati nel 1971, rivelarono come i governi americani avessero mentito sull’andamento della guerra, alimentando il cinismo verso la politica. Il Congresso, reagendo agli abusi di potere presidenziale, approvò nel 1973 la War Powers Resolution, limitando la capacità del Presidente di impegnare truppe senza l’approvazione parlamentare. La leva obbligatoria fu abolita nello stesso anno, segnando un cambiamento epocale nel rapporto tra cittadini e forze armate.
La guerra del Vietnam trasformò anche la cultura americana: film come Apocalypse Now, Full Metal Jacket e Platoon esplorarono l’orrore e l’assurdità del conflitto, mentre il Vietnam Veterans Memorial a Washington, con i nomi degli oltre 58.000 caduti incisi su una lastra nera, divenne un luogo di riflessione collettiva. I veterani, spesso accolti con freddezza o disprezzo al loro ritorno, lottarono per anni per ottenere riconoscimento e assistenza, specialmente per le ferite invisibili causate dall’Agente Arancio o dal disturbo da stress post-traumatico.
Sul piano geopolitico la guerra insegnò agli Stati Uniti la difficoltà di interventi militari in conflitti asimmetrici, una lezione che avrebbe influenzato le sue strategie in Iraq e Afghanistan. Tuttavia essa non chiuse per sempre la strada a un riavvicinamento con il Vietnam: nel 1995 le relazioni diplomatiche con il Paese furono ristabilite, e oggi il Vietnam è un partner commerciale degli Stati Uniti.