Lidia Poët, prima donna a entrare nell’Ordine degli avvocati in Italia, non si sposò mai e non ebbe figli. La sua fu una vita completamente dedita al lavoro e all’attivismo politico in favore dei diritti delle donne.
Nata il 26 agosto del 1855 a Perrero, piccolo centro alle porte di Torino, Lidia Poët crebbe in una famiglia dell’alta borghesia piemontese, di religione Valdese. Il padre, Giovanni Pietro, è stato sindaco di Perrero per quasi trent’anni. La madre, Marianna Richard, apparteneva a una dinastia di proprietari terrieri. Studiò presso il “Collegio delle Signorine di Bonneville” ad Aubonne, cittadina svizzera sul lago Lemano.
Nel 1871 ottenne l’abilitazione all’insegnamento superiore e successivamente dell’inglese, tedesco e francese. Nel 1877 si diplomò, frequentando dall’anno successivo la facoltà di di Giurisprudenza all’Università di Torino, dopo aver abbandonato Medicina. Si laureò brillantemente nel 1881 con una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne.
Pur avendo effettuato il praticantato di rito presso uno studio di Pinerolo, e avendo superato in scioltezza l’esame di abilitazione alla professione forense, fu esclusa dall’Ordine degli Avvocati, nonostante una prima ammissione nel 1883. Il motivo era piuttosto semplice: “La donna non può esercitare l’avvocatura” si legge nella motivazione della Corte di Cassazione, alla quale Lidia Poët si rivolse dopo il primo stop in Appello.
Solo nel 1920, dopo anni di esercizio professionale al fianco del fratello Giovanni Enrico, entrò nell’Ordine degli avvocati, prima donna d’Italia.
Alla sua figura è dedicata la serie di Netflix, La legge di Lidia Poët, attualmente disponibile con la seconda stagione. In cui emerge con grande forza il temperamento della donna e la sua volontà, assoluta, di rinunciare con coscienza al matrimonio e ai figli, per lottare per tutte le donne.
La serie prodotta da Matteo Rovere non è però una biografia esatta di Lidia Poët.