“Ich bin ein Berliner“. Questa è la frase che l’allora presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, pronuncia il 26 giugno 1963 davanti al Municipio di Schöneberg, dov’era ospitato il Senato di Berlino Ovest ai tempi del Muro. Parole che, al tempo, sono tate accolte con un fragoroso entusiasmo da ben cinquecentomila persone e che sono entrate nella Storia del Novecento.
Un risultato, questo, che di sicuro non stupisce. Kennedy, infatti, è sempre stato dotato di una grande capacità oratoria che, sostenuta dalla sua cultura e da un team di “scrittori” efficaci, ha consegnato molte delle sue parole ai posteri. A dimostrarlo, ad esempio, c’è il suo discorso d’insediamento, considerato ancora oggi il migliore insieme a quello di Lincoln. Le parole pronunciate dal presidente a Berlino, però, hanno un valore intrinseco, sociale e politico, che va ben oltre quello formale. La sua esternazione conclusiva, arriva dopo una serie di dichiarazioni in netto contrasto con la politica dell’Unione Sovietica e, soprattutto, come condanna per la costruzione del Muro.
Come nasce il discorso di Berlino
Come ogni capo di stato anche Kennedy ha sempre avuto il sostegno di diversi speechwriter approvati dalla Casa Bianca e dallo stesso presidente. Gli stessi che, per l’occasione avevano preparato un discorso sicuramente meno incisivo e volto a creare consenso intorno ai negoziati con Krusciov sulla non proliferazione nucleare, evitando inutili provocazioni nei confronti del Cremlino. All’ultimo momento, però, Kennedy decide di cambiare strategia.
L’accoglienze ottenuta e, soprattutto, la visita al Muro e a Check Point Charlie, dove cessava, di fatto, la libertà di una parte della popolazione, lo ha portato a non seguire le linee concordate dalla diplomazia. Secondo lo storico Andreas Daum, Kennedy sentì il bisogno di dover qualche cosa ai berlinesi. Nello specifico un segno che non li facesse sentire soli ed isolati nella loro sorte ma parte di un tutto.
Per questo, poco prima di salire sul palco chiede a Robert Lochner, l’interprete ufficiale della visita, di tradurre la frase “Io sono un berlinese” in tedesco. La stessa che ripeterà più volte prima di presentarsi davanti ai microfoni per essere sicuro di pronunciarla nel migliore dei modi.
Ich bin ein Berliner, il discorso di Kennedy
Ecco il testo completo del discorso di Kennedy:
Sono orgoglioso di venire in questa città ospite del vostro onorevole sindaco, che ha simboleggiato per il mondo lo spirito combattivo di Berlino Ovest. E sono orgoglioso, sono orgoglioso di visitare la Repubblica Federale con il vostro onorevole Cancelliere che da così tanti anni guida la Germania nella democrazia, nella libertà e nel progresso, e di essere qui in compagnia del mio concittadino americano Generale Clay che è stato in questa città durante i suoi momenti di crisi, e vi tornerà ancora, se ce ne sarà bisogno.
Duemila anni fa, il più grande orgoglio era dire “civis Romanus sum”. Oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire “Ich bin ein Berliner.”
Ci sono molte persone al mondo che non capiscono, o che dicono di non capire, quale sia la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Che vengano a Berlino. Ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l’onda del progresso. Che vengano a Berlino. Ce ne sono alcune che dicono, in Europa come altrove, che possiamo lavorare con i comunisti. Che vengano a Berlino.
E ce ne sono anche certe che dicono che sì il comunismo è un sistema malvagio, ma permette progressi economici. Che vengano a Berlino.La libertà ha molte difficoltà e la democrazia non è perfetta. Ma non abbiamo mai costruito un muro per tenere dentro i nostri ed impedir loro di lasciarci. Voglio dire a nome dei miei compatrioti che vivono a molte miglia da qua dall’altra parte dell’Atlantico, che sono distanti da voi, che sono orgogliosi di poter dividere con voi la storia degli ultimi 18 anni. Non conosco nessun paese, nessuna città, che è stata assediata per 18 anni e ancora vive con vitalità e forza, e speranza e determinazione come la città di Berlino Ovest.
Mentre il muro è la più grande e vivida dimostrazione dei fallimenti del sistema comunista, tutto il mondo lo può vedere , ma questo non ci rende felici; esso è, come il vostro sindaco ha detto, una offesa non solo contro la storia, ma contro l’umanità, separa famiglie, divide i mariti dalle mogli, ed i fratelli dalle sorelle, divide un popolo che vorrebbe stare insieme.
Quello che è vero per questa città è vero per la Germania: una pace reale e duratura non potrà mai essere assicurata all’Europa finché ad un quarto della Germania è negato il diritto elementare dell’uomo libero: prendere una decisione libera. In 18 anni di pace e benessere questa generazione di tedeschi ha guadagnato il diritto ad essere libera, incluso il diritto di unire le famiglie, a mantenere la propria nazione in pace, in buoni rapporti con tutti. Voi vivete in una isola difesa di libertà, ma la vostra vita è parte della collettività.
Consentitemi di chiedervi, come amico, di alzare i vostri occhi oltre i pericoli di oggi, verso le speranze di domani, oltre la libertà della sola città di Berlino, o della vostra Germania, per promuovere la libertà ovunque, oltre il muro per un giorno di pace e giustizia, oltre voi stessi e noi stessi per tutta l’umanità. La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero. Quando tutti saranno liberi, quando potremo vedere questa città come una sola e questo paese, come il grande continente europeo, ci sarà un mondo in pace e pieno di speranza. Quando quel giorno finalmente arriverà, e arriverà, la gente di Berlino Ovest sarà orgogliosa del fatto di essere stata al fronte per quasi due decenni. Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire “Ich bin ein Berliner”.
Al termine del discorso McGeorge Bundy, il consigliere per la Sicurezza nazionale, sussurra all’orecchio del presidente Kennedy la sua preoccupazione. Crede fermamente che si sia andati un po’ troppo oltre con una presa di posizione netta contro l’Unione Sovietica. Ad impensierirlo, in modo particolare, sono le accuse di totalitarismo non velate e, soprattutto, quell’incitamento “che vengano a Berlino“.
Una frase che sottintende una sorta di preparazione al più serrato dei confronti. Ovviamente la Storia ha dato ragione a Kennedy e, ad oggi, questo discorso rimane ancora uno dei più illuminati ed efficaci della sua breve carriera politica. Non dimentichiamo, infatti, che, dopo soli cinque mesi, il presidente sarà vittima dell’attentato di Dallas, il 22 novembre 1963.