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Home » Cultura » Storia » Perché le staffette partigiane avevano dei nomi di battaglia?

Perché le staffette partigiane avevano dei nomi di battaglia?

I nomi di battaglia delle staffette partigiane erano strumenti essenziali per la sicurezza e l'efficacia della Resistenza.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino25 Aprile 2025
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Staffette partigiane
Staffette partigiane (fonte: ANPI Reggio Emilia)
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Durante la Resistenza italiana (1943-1945), le staffette partigiane svolsero un ruolo cruciale nel collegare le diverse formazioni combattenti, trasportando messaggi, armi e informazioni vitali. Per proteggere se stesse e le proprie famiglie, adottarono nomi di battaglia, pseudonimi che garantivano l’anonimato e riducevano il rischio di rappresaglie in caso di cattura.​

L’uso di questi nomi non era solo una misura di sicurezza, ma anche un simbolo di appartenenza e impegno. Assumere un nome di battaglia rappresentava una scelta consapevole di rompere con il passato e abbracciare la lotta antifascista. Come evidenziato da testimonianze storiche, questi nomi rafforzavano la coesione tra i membri della Resistenza e sottolineavano la determinazione delle donne coinvolte.​

Le staffette, spesso giovani donne, affrontavano pericoli quotidiani: viaggiavano in bicicletta sotto la pioggia o la neve, attraversavano posti di blocco e rischiavano torture o esecuzioni. Come descritto da Ida D’Este nel suo libro “Croce sulla schiena” (segno imposto dai fascisti durante la Repubblica Sociale Italiana o usato da reparti nazisti per identificare i prigionieri, i disertori o i partigiani catturati), dovevano essere pronte a “ricordare, tacere, inventare” e a “difendersi dagli importuni“, mantenendo sempre la calma e l’efficienza. ​
Patria Indipendente

Esempi concreti di nomi di battaglia includono “Carmen” per Noris Guizzo e “Fiorella” per Gisella Tonelli. Questi nomi spesso riflettevano tratti personali, ideali o semplicemente erano scelti per la loro semplicità e facilità di memorizzazione. In alcuni casi, come raccontato da Vanda Donelli, intere famiglie adottavano pseudonimi per proteggersi reciprocamente. ​

Una giovane Tina Anselmi
Una giovane Tina Anselmi (fonte: Patria Indipendente)

Ecco alcune delle staffette più note

Giovanna Marturano (1912–2013)

  • Nome di battaglia: “Vittoria”
  • Fu tra le fondatrici dei Gruppi di Difesa della Donna. Arrestata e condannata per attività antifascista, continuò la lotta anche dopo la guerra.

 Irma Bandiera (1915–1944)

  • Nome di battaglia: “Mimma”
  • Staffetta dei GAP di Bologna, fu catturata, torturata e uccisa dai fascisti senza mai rivelare informazioni. È diventata un simbolo della Resistenza.

Carla Capponi (1918–2000)

  • Nome di battaglia: “Lucia”
  • Fu inizialmente staffetta, poi combattente armata nei GAP romani. Partecipò all’attentato di via Rasella. Medaglia d’oro al valor militare.

Luciana Romoli (classe 1933)

  • Nome di battaglia: “Luce”
  • Fu staffetta partigiana giovanissima a Roma. Dopo la guerra ha dedicato la sua vita alla divulgazione storica.

Giuseppina Tuissi (1923–1945)

  • Nome di battaglia: “Gianna”
  • Staffetta nella 52ª Brigata Garibaldi. Collaborò con il CLN e fu coinvolta nell’arresto di Mussolini. Scomparve in circostanze misteriose nel dopoguerra.

Tra le staffette partigiane ricordiamo anche Tina Anselmi. Anselmi (1927–2016) lottò con il nome di battaglia “Gabriella”, nella Brigata Cesare Battisti del Veneto, a cui si unì dopo aver assistito all’impiccagione pubblica di 31 giovani antifascisti a Bassano del Grappa nel 1944. Dopo la guerra, intraprese la carriera politica nelle fila della Democrazia Cristiana, divenendo nel 1976 la prima donna a ricoprire l’incarico di ministro in Italia, con la delega al Lavoro e poi alla Sanità. Fu anche presidente della Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, distinguendosi per rigore e coraggio morale. La sua vita unisce l’impegno civile della Resistenza con il rinnovamento delle istituzioni democratiche nel dopoguerra.

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