Nel giugno del 1943, Los Angeles fu teatro di una serie di violenti disordini noti come Zoot Suit Riots. Il nome deriva dagli abiti indossati da molti giovani messicani americani: completi larghi con giacche dalle spalle ampie, pantaloni gonfi e spesso cappelli vistosi. Questi vestiti erano visti come una sfida sia alla cultura dominante americana che a quella messicana tradizionale, e chi li indossava si faceva chiamare pachuco. In un clima di tensione razziale già alto a causa della guerra in corso, questi abiti diventarono un bersaglio simbolico per l’odio di una parte della società.
Durante la Seconda guerra mondiale, molti lavoratori americani erano partiti per il fronte, lasciando vacanti migliaia di posti di lavoro. Per colmare il vuoto, gli Stati Uniti firmarono un accordo con il Messico che consentiva l’ingresso temporaneo di braccianti agricoli messicani. Tuttavia, la presenza crescente di persone di origine latina generò malcontento in alcuni settori della popolazione bianca. Inoltre, a partire dal 1942, il governo statunitense impose il razionamento di materiali come la lana, usata per produrre abiti. Il zoot suit, essendo molto largo e ricco di tessuto, venne visto come uno spreco e quindi come un gesto anti-patriottico.

La tensione salì ulteriormente nell’agosto 1942 con il caso Sleepy Lagoon. Durante una festa, José Díaz, un giovane messicano americano, fu trovato morto. I media locali alimentarono il panico e accusarono i zoot-suiters. Più di 600 giovani, perlopiù messicani americani, furono arrestati. Alcuni furono condannati per omicidio in un processo molto criticato. Le condanne furono annullate nel 1944, ma nel frattempo l’immagine dei giovani latinos come criminali era già stata diffusa da giornali e politici.
Il 3 giugno 1943 un gruppo di marinai affermò di essere stato attaccato da alcuni zoot-suiters. Il giorno dopo, decine di militari bianchi noleggiarono taxi e si recarono nei quartieri latini alla ricerca di giovani da aggredire. I pestaggi si moltiplicarono e molti ragazzi furono spogliati dei loro abiti in pubblico, che venivano bruciati o urinati addosso. Alcuni giornali arrivarono a pubblicare vere e proprie istruzioni su come “de-zootare” un giovane. I militari furono ritratti come eroi che combattevano una presunta ondata criminale messicana.
Il momento più violento dei disordini fu il 7 giugno, quando migliaia di marinai e civili invasero il centro di Los Angeles aggredendo non solo i zoot-suiters, ma anche afroamericani e filippini, indipendentemente da cosa indossassero. Invece di fermare le aggressioni, la polizia arrestò centinaia di giovani latinos, molti dei quali avevano già subito violenze. Alcuni ragazzi chiesero persino di essere incarcerati per proteggersi.
Solo l’8 giugno l’esercito dichiarò Los Angeles “zona vietata” per i militari, e la polizia militare fu incaricata di fermare i disordini. Il giorno seguente, il Consiglio comunale approvò una legge che proibiva l’uso dei zoot suit per le strade. Questo ridusse le aggressioni, e le rivolte si conclusero ufficialmente il 10 giugno. Tuttavia, episodi simili si verificarono anche in altre città degli Stati Uniti.
Nonostante nessuno morì, molte persone furono ferite, e la sproporzione degli arresti – quasi tutti latinos – generò dure critiche. Il governatore della California Earl Warren ordinò la creazione di una commissione d’inchiesta. Il rapporto ufficiale concluse che la causa principale dei disordini era il razzismo, aggravato dalla risposta inefficace della polizia e dalla stampa, che aveva diffuso una visione distorta e allarmista dei giovani messicani americani. Il sindaco di Los Angeles Fletcher Bowron, invece, negò ogni responsabilità razziale, attribuendo gli eventi alla delinquenza giovanile.