L’ameba mangia cervello si trova esclusivamente in acque dolci, come laghi o fiumi. Anche nell’acqua del rubinetto, a volte, ma non a mare. La Naegleria fowleri, questo il nome scientifico del parassita, vive bene ad alte temperature, per questo sono a rischio anche le acque calde delle sorgenti termali. E le piscine poco curate, ovvero non trattate con la giusta quantità di cloro.
L’ameba mangia cervello contagia la persona che nuota o semplicemente entra in contatto con l’acqua, attraverso la cavità nasale e provoca la morte in pochi giorni. Come avvenuto a Megan Ebenroth, una diciassettenne americana deceduta il 22 luglio scorso, dopo un bagno al lago per un’infezione cerebrale, detta meningoencefalite amebica primaria.
La giovane, che viveva in Georgia, nel sud degli Stati Uniti, ha cominciato a stare male dopo qualche tempo rispetto alla gita fuori porta. In ospedale non hanno potuto fare molto per lei, se non intubarla e metterla sotto sedazione. L’infezione, infatti, era troppo avanzata.
Questo genere di organismo, come detto, vive in acque paludose con temperature alte. Quando la temperatura si abbassa e l’ambiente diventa inospitale si trasforma in una ciste, e resta così in attesa di migliori condizioni esterne. Sfortunatamente, il protista non è identificabile e questo rende difficile l’eventuale bonifica del sito sospetto.
Quello da Naegleria fowleri è il sesto caso riscontrato in Georgia dal 1962 e il 154.mo a livello nazionale. Si tratta quindi di un’infezione rara dalla mortalità altissima, circa nel 97% dei contagi. L’ameba, favorita dalla temperatura dell’organismo umano, si diffonde rapidamente, nutrendosi dei tessuti cerebrali (da qui il nome mangia-cervello).
Tra i primi sintomi ci sono mal di testa, febbre, nausea e vomito. L’infezione dilaga in poco tempo causando allucinazioni e poi coma. Entro dieci giorni dal contagio, la persona infettata muore. In pochi sopravvivono, riportando però danni permanenti. Come il quattordicenne della Florida, Caleb Ziegelbaur, che dopo aver contratto la malattia, esattamente un anno fa, vive ora paralizzato.
La diagnosi è possibile con un’analisi del liquido spinale o con una biopsia cerebrale. Non esiste al momento un protocollo terapeutico, solo la somministrazione sinergica di antimicotici e antibiotici. In Italia è stato finora segnalato un unico caso, un bambino di 9 anni morto nel 2004 ad Este in provincia di Padova. Fatale, in quel caso, una nuotata in un laghetto che prendeva acqua dal Po.